Storia di Roma di Ettore Pais

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      CONQUISTA DI VEIO. RESA DI FALERÌ.
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      nuova dimora romana. Storielle che apparivano puerili negli ultimi tempi della repubblica, ma che non è vano ricordare, perchè indicano con quale colorito e carattere di credibilità fosse narrata tutta codesta ampia storia della presa di Veio. (*)
      Venuto in potere della potente città, che per dieci anni era stata cinta di continuo assedio e che in questo frattempo aveva date tante sconfìtte ai Romani, Camillo pensò eli sciogliere i voti. Presiedè alla edificazione di un tempio nell'Aventino che accoglieva la Giunone veientana, dedicò quello della dea Matuta e menò infine uno splendido trionfo, che è detto essere stata una delle cause per cui quattro anni dopo dovette esulare; si narrava infatti che egli salisse su di una quadriga tirata da bianchi destrieri con aspetto tale da essere paragonato a Giove ed al Sole. (¦) L'anno seguente (395 a. C.) i Romani volsero le armi contro gli alleati di Veio. Il territorio dei Capenati venne interamente devastato dai tribuni Valerio e Servilio, non fu lasciato un solo albero fruttifero, e Capena fu obbligata a chiedere pace. I Falisci vennero attaccati l'anno seguente, e qui gli antichi narravano la storiella del maestro, che con esecrando tradimento, recatosi fuori della città con i figli dei principali cittadini di Falerì, avrebbe offerti costoro come ostaggi a M. Camillo, il quale, sdegnato, avrebbe consegnato alla sua volta il traditore ai Falisci, che meravigliati della fede romana, avrebbero posto sè stessi sotto la tutela della città fin'ora nemica. (3) In questo stesso anno
      (*) Le storielle relative alla presa di Veio sono raccontate da Livio, V, 21, 9. il quale osserva: u liaec ad ostentationem scaenae gaudentis miraculis aptiora quam ad fìdem neque adfirmare neque refellere operae pretium est, „ e da Plutarco, Cam. 5 sq., che cita espressamente Livio. Critiche intorno alla leggenda veiente, v. anche in Cicerone, de divirt. II, 32, 68. La storia della presa di Veio, più diffusamente che altri fatti, ma condensando sempre in poche righe le gesta di vari anni, è riferita anche Diodoro, XIV, 93 ad a. 393 a. C. (396 a. C. Varr.)
      (2) Liv. V, 23: * maxime conspectus ipse est curru equis albis iuncto ur-bem invectus; parumque id non civile modo sed humanum etiam visnm „ cfr. V. 28, 1; cfr. Plut. Cam. 17; Auct. de vir. ili. 23, 4; questa versione è già registrata da Diodoro, XIV, 117.
      (3) Diodoro, XIV, 96 ad a. 392 a. C. ha soltanto: xaxà oè xy;v 'IxaXiav Ttojialoc. <ì>aXiaxeov ($tX&w%ov cdd.) tió/Uv sx xrj <£aA{ax(i)v sfrvoos egsTióp^aav. La storiella del maestro falisco riferiscono distesamente Livio, V, 27; Val. Max.


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Storia di Roma
Parte Seconda
di Ettore Pais
Carlo Clausen Torino
1899 pagine 746

   

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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche




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