Storia di Roma di Ettore Pais

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      cap. vi. - dall'invasione gallica etc.
      clie ad essa si siano inspirati assai spesso i narratori delle gesta romane. Così Camillo, che con la sua rettitudine consegue che a lui i Falisci si affidino, rammenta il tessalo Cinea, ovvero quel Brasida che con tanta abilità sapeva adescare le città già ostili all'amicizia di Sparta. (l)
      Noi non possediamo le diffuse narrazioni, che, a partire dal IV secolo, vennero fatte della storia greca, e nemmeno quelle più antiche redazioni della storia romana, in cui le opere di Clitarco, di Teopompo o di Timeo erano prese a modello; perciò solo in qual-
      ud Ae>i. Vili, 656, è lecito domandarsi se ciò derivi da una fonte greca del genere di quella a cui originariamente si potrebbe, volendo, riferire la notizia che i Senoni, movendo contro Roma, rispettarono i campi dei popoli di cui percorrevano il territorio (Plut. Cam. 18, 4), o se invece vi sia il semplice giuoco etimologico di un grammatico di tarda età romana.
      (*) Su Brasida basti rimandare al ben noto passo di Tucidide, IV, 81, 2; rispetto a Cinea, v. Plut. Pyrrli. 14. Che l'aneddoto dei figli dei nobili Falisci traditi dal maestro sia l'imitazione di una storiella greca, pare risulti dalle stesse parole di Livio, V, 27, 1: u mos erat Faliscis eodem magistro liberorum et co-mite uti, simulque plures pueri, quod hodie quoque in Graecia manet Il simile racconto di Plutarco, Cam. 10, 2, da coloro che hanno esaminato le fonti di questa biografia, è ricondotto a Livio, il cui uso diretto (come parrebbe ricavarsi dalla citazione dello stesso Plutarco, Cam. 6), od indiretto (si può pensare, credo, tanto ad una versione di Livio, quanto ad un epitome del genere di quella usata da Orosio e da altri (cfr. anche Plin. ep. VI, 20, 5) sarebbe pure ammissibile.
      Trattandosi di materia sin ora appena delibata dalla critica, la quale rispetto a simili questioni si è illusa assai spesso sulla sicurezza dei suoi risultati, non oso pronunciare un giudizio assoluto. Noto tuttavia che non è escluso che qualche tratto, dove Livio pare essere la fonte diretta od indiretta, possa derivare da una fonte comune, che non siamo più in grado di determinare, e che le parole warcspsi possano spiegare tanto con uno di quei malintesi dei testi romani, che la critica ha creduto ritrovare in Plutarco, (il quale modestamente dichiarava di non esser dotto di latino, cfr. rit. Demosth. 2), quanto con la tradizione già accolta dagli scrittori romani nel II secolo a. C., secondo i quali Faleri era città greca, v. Catone apd Plin. JSH. Ili, 81; Verg. Aen. VII, 723; cfr. Dion. Hal. I, 21; 0vid. fast. IV, 73; amor. Ili, 13, 31; Iust. XX, 21; Sil. Ital. Vili, 474; Sol» II, 7; Steph. Byz. s. v. aXiaxog. Così nel racconto della pacifica dedizione dei Tuscolani, il particolare: 14 ludos litterarum strepere discentium vocibus, „ Liv. VI, 25, 9; cfr. Plut. Cam. 38, 3, non ostante le dichiarazioni di Dionisio, XIV, fr. 6, si spiega assai meglio riconoscendovi l'imitazione di un analogo racconto greco, anziché un motivo escogitato per la prima volta da un annalista romano.


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Storia di Roma
Parte Seconda
di Ettore Pais
Carlo Clausen Torino
1899 pagine 746

   

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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche




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