Storia di Roma di Ettore Pais
critica della censura di appio claudio
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concio cui Appio Cieco nel censimento si sarebbe mostrato così mite da non rimuovere nessun indegno senatore, da non togliere a nessuno il cavallo. Il fatto stesso che non avrebbe allontanato alcuno dal senato non si accorda con la notizia sulla diversa sua elezione di tal corpo. Quest'ultima non si poteva infatti verificare che escludendo qualcuno dei senatori precedenti. La dichiarazione che i consoli convocarono il senato secondo l'ordinamento stabilito dai censori precedenti, ove sia confrontata con quanto si espone per l'anno 304 a. C., in cui si accenna di nuovo alle riforme di Appio Claudio, non solo dà modo di constatare che nelle tradizioni super-
libertinos dictos non ipsos, qui inanu emitterentur, sed ingenuos ex bis pro-creatos, „ nota come questo autore parrebbe aver distinto libertus „ da u liber-tinus, „ ed osserva che tale differenza non è possibile. Tuttavia rimando a quanto egli stesso oj). cit. p. XIII, n. i, osserva sulla u colonia Carteia Libertinorum Non vedo poi che cosa escluda che in tempi più vetusti l'epiteto di u libertini „ si estendesse anche ai nepoti di coloro che erano stati schiavi, per applicazione inversa di quello stesso principio per cui, durante l'impero, vediamo estendersi sino ai nepoti dei senatori la qualità di gente appartenente a tale classe (v. il materiale in Mommsen, roem. Staatsrecht, III, p. 468, u. 1). Non so infine se sia il caso di pensare e di ricordare che anche le nuove e dure disposizioni del tempo di Augusto su Latini luniani paiono rappresentare un parziale ritorno a condizioni più vetuste (cfr. Dion. Hal. IV, 24). E vero che la dichiarazione che Gneo Flavio era: t)iòv à7ieXst)&spoo... wxzpòg wv SsgooXsoVwÓxoc:, Diod. XX, 36, si oppone ad una tale interpretazione, ma il racconto di Diodoro, non rappresenta l'eco di una tradizione tanto antica, quanto generalmente si crede (v. s. p. 445, n. 1 ; cfr. oltre). Forse non è inopportuno osservare che ad un membro di codesta gente plebea dei Flavi si riferiscono le notizie relative a M. Flavio, detto tribuno della plebe sin dal 323, Liv. VIII, 37, 8; Val. Max. Vili, 10, 1, di cui, da fonte patricia ed ostile, si fa di già parola per il 328, Liv. 22, 2. Che nella versione di Diodoro, XX, 36, vi sia esagerazione ove si dice TtoXXoòg y.aì xtov àrcsXeudipODv utoòg àvé,it§ev, mi pare risulti dalle parole di Plutarco, Pomp. 13 extr. che accenna a nXoaioug xtvds, cfr. Livio, IX, 30, 2. Le parole di Tacito, ami. XI, 24, ove si riassume l'orazione di Claudio: u libertinorum fìliis magistratus mandali non, ut plerique falluntur, repens, sed priori populo factitatum est, „ provano del resto in modo irrefutabile che l'opinione comune, e possiamo aggiungere la più retta, riferiva a tempi molto più recenti ciò che la versione di Livio e di Diodoro affermavano opera di Appio Cieco. Che la versione accolta da Diod oro non sia. come generalmente oggi si crede, l'eco sincero della verità, risulta, credo, oltre che dal complesso delle osservazioni che vado esponendo in queste pagine, da ciò che noto un poco oltre, intorno alla parte che Appio Claudio ebbe nella riforma dei culti.
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Storia di Roma
Parte Seconda
di Ettore Pais
Carlo Clausen Torino 1899
pagine 746 |
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Pagina (596/795)
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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche
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