Storia di Roma di Ettore Pais

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      ENNIO, CATONE E GLI SCRITTORI TARANTINI.
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      tone il vecchio ragionava certamente della sapienza del padre di Ponzio nelle sue " Origini, „ ove con fini didattici e con vivaci colori dipingeva le virtù di Manio Curio e di Fabricio. Ma pur troppo, loTaranto non solo era capo della lega italiota, ma centro intellettuale e politico delle popolazioni indigene che la circondavano, e che vi convenivano gli uomini più notevoli fra i Lucani ed i Sanniti. Queste nostre osservazioni, si basano anche sul tatto che, a confessione degli antichi, furono i Tarentini coloro che con intrighi diplomatici mossero contro Roma le armi dei Sanniti, dei Galli, degli Etruschi (v. s. p. 488, n. 1), e trovano un riscontro nella notizia che Appio Cieco fosse imbevuto della cultura pitagorica (cfr. s. p. 671, n. 1 . S'intende quindi come si affermasse che la costituzione romana fosse imitazione di quella di Sparta, Athkn. VI, p. 273.
      Ma se può ammettersi che scrittori tarantini come Nearco e poi Catone parlassero della sapienza di C. Ponzio e del suo colloquio con Archita e Platone, e se può anche pensarsi che codesto capo dei Sanniti si sia realmente recato a Taranto, è più che discutibile che egli abbia realmente discusso su tale argomento con Platone. Parrebbe lecito pensare ad una falsificazione del genere delle scritture di Ocello lucano, detto scolaro di Pitagora, e di quelle opere filosofiche contenenti vedute aristoteliche attribuite ai pitagorici. Il discorso di Ponzio sulla voluttà tenuto con Platone e con Archita, secondo ogni verosimiglianza, è l'allegamento, se non m'inganno, della notizia anteriore sul colloquio che su tal materia venne tenuto da Archita e Platone. Anzi, chi ben esamini, vede che questo discorso è la riproduzione di quello che, secondo Aristosseno apd Athen. XII, p. 545, ebbe luogo fra Archita e gli ambasciatori di Dionisio II alla presenza dell'ateniese Poliarco (cfr. Ael. VII. Vili, 4). Non possediamo argomenti di tale natura da escludere in modo assoluto che a tale colloquio possa essere stato presente anche il capo Sannita. Ma secondo tutte le probabilità, tardi scrittori attribuirono e adattarono al saggio Ponzio ciò che era stato affermato per altri personaggi, allo stesso modo che gli annalisti romani fecero tenere da Fabricio con Pirro discorsi di questo medesimo genere, discorsi nei quali si esprimeva il disprezzo di Fabricio o dei Romani verso le dottrine di Epicuro e l'ammirazione loro verso quelle di Pitagora. Che Catone fosse tra quegli autori che narravano questi discorsi appare anche da ciò che secondo lui (cfr. Cie. Cat. Mai. 13, 43, e le note sgg. W. Curio e Ti. Coruncanio avrebbero desiderato che le dottrine pitagoriche fossero state accettate dai Sanniti, nella speranza di poter più facilmente opprimere nemici ammolliti dai piaceri. Un tale pensiero non è parto della fantasia di Cicerone e nemmeno di Catone; esso si spiega assai bene con l'efficacia che le dottrine greche tarantine dovettero realmente esercitare sui capi dei Sanniti. Codesta indicazione risponde infatti ada
      un complesso di altri dati su Fabricio e su M\ Curio. E chiaro che se era stato guadagnato alla cultura italiota Appio Cieco (cfr. l'epiteto di uàXig 'EXXr^vìg dato da Eraclide Polìtico, nella seconda metà del IV secolo, a Roma, Plut. Cam. 22, 2), non doveva essere diverso il caso di quei Sanniti, che non solo ebbero rapporti con Taranto, ma che si impadronirono di buona parte delle città italiote.


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Storia di Roma
Parte Seconda
di Ettore Pais
Carlo Clausen Torino
1899 pagine 746

   

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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche




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