Storia di Roma di Ettore Pais
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aggiunte e correzioni.
valido abbastanza per dimostrare che rispetto a ciò il racconto diodoreo rappresenti una versione indegna di fede. Ma ove, tenendo conto che nella narrazione di Diodoro vi sono traccie di vario e discordanti tradizioni (v. s. p. 686, 11. 1), volessimo liberarci dalla sua affermazione, resterebbe sempre il fatto che dell'incendio parlava Trogo Pompeo, là dove, seguendo una fonte ed un sincronismo greco o massaliota o siceliota, narrava dell'alleanza di Dionisio con quei Galli che avevano appiccato fuoco a Roma.
Maggiore importanza parrebbe in apparenza avere l'osservazione del Thouret: che Polibio, nei passi citati, dice che i Romani, contro le loro speranze tornarono ad essere: :taxp:6og syxpaTsLg, ovvero che i Galli restituirono loro la Città (àTioSóvxss oppure TrapaSóvxsg xyjv ttóXiv, IL cc.) Queste espressioni non escludono però in modo alcuno che l'incendio fosse avvenuto: e possono dare occasione a credere l'opposto solo a chi si faccia un'idea erronea, o per lo meno inesatta, delle condizioni edilizie di Roma nel V secolo. Lo stesso culto presupponeva che un'umile capanna fosse stata la dimora di Romolo, Verg. Vili, 654; Ovid. fast. I, 199; III, 181 sqq.; Vitruv. II, 1. Ciò pure si dice per gli edifici del tempo di Numa, Ovid. fast. VI, 261 sqq.; la casa di Valerio Publicola in una sola notte sarebbe stata trasportata dalla cima alla radice del colle Velia, Plut. Popi. 10, 5. Roma, per dichiarazione della fonte di Cornelio Nepote apd Plin. XH. XVI, 36, ebbe case coperte di assi sino al tempo della guerra contro Pirro, vale a dire avrebbe avuto dimore di quel genere, che, ancora nell'ultimo secolo della repubblica, erano abitate dai Galli ed in generale dai popoli dell'Europa occidentale, Vitruv. II, 1; cfr. Strab. IV, p. 197 C. Allorché nel 178 prese fuoco il tempio di Venere, Iul. Obsq. 8 (62), esso rimane distrutto u sine ullo vestigio „ appunto perchè il tempio della dea era tutto di legno.
Non v'è pertanto nulla di strano che i Galli, i quali, in casa loro come gli antichi Selloi omerici, II, 235, solevano dormire per terra (Polyb. II. 17, 10; Strab. IV; cfr. Liv. V, 48, 2), e che si occupavano solo a far bottino (Polyb. II, 17, 11), nell'ebbrezza della vittoria abbiano dato allegramente fuoco alla Città, così come si afferma che i Romani facessero nel 293, allorché in un sol giorno incendiarono le sannitiche Cominio ed Aquilonia, Ltv. X, 44, 1. Aquilonia e Cominio erano fra le città più importanti dei Sanniti e, secondo che tutto fa credere, nel 293 erano costruite su per giù come Roma e come la maggior parte delle città di Occidente di quel tempo. Nè varrebbe osservare, come è stato talora fatto, che Roma si rialzò troppo rapidamente dalle sue rovine perchè si debba credere che fu distrutta. Anche Milano sebbene distrutta dal Barbarossa, quattro anni dopo, risorta dalle sue rovine (a. 1162-1166), divenne più potente di prima.
Quanto ci è poi affermato per il tempio di Venere e per il complesso delle case romane, deve valere per gli altri templi occupati e distrutti dai Galli ed il Gilbert, Gescliicìite und Topograpliie der Stadi Rom. Ili, p. 32, il quale accostandosi alle vedute del Thouret, si vale delle parole di Livio, V, 50: " senatus consultus facit, fana omnia, quoad ea hostis possedisset, restituerentur, termina-rentur, expiarenturque, „ oltreché non vede che ciò può riferirsi anche al semplice spazio in cui tali templi erano sorti, anziché agli umili edifici che sarebbero stati incendiati, non sospetta nemmeno che tutto il contesto di Livio (come appare
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Storia di Roma
Parte Seconda
di Ettore Pais
Carlo Clausen Torino 1899
pagine 746 |
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Pagina (773/795)
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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche
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