Storia di Roma di Ettore Pais
aggiunte e correzioni.
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da quanto vi si riferisce sul culto di Giove Capitolino sulle tegole, sulle cloache, di cui qui oltre parliamo), presuppone una redazione recente.
In breve non v'è argomento che ci vieti reputare storico che i Galli impadronitisi di Roma, abbiano dato fuoco a quel complesso di case costruite in gran parte di legno, di paglia e di fango, che costituivano la Città, e che erano simili a quelle capanne che si vedono rappresentate nelle urne etnische e latine di età non sempre bene determinata degli archeologi, e che si continua tuttora ad elevare nella campagna romana (v. Cozza e Barnabei, nelle Xot. d. Scavi, 1893, p. 198 sgg.)
Deve invece riconoscersi che la tradizione romana esagerò di molto tale incendio, supponendo che la cinta della Città fosse quella raggiunta dopo il IV secolo, e che in codesta circostanza fossero periti monumenti, che non esistevano, o che essa tinge si ritrovassero fra le rovine, mentre sorsero solo dopo la catastrofe gallica. Può discutersi se i Galli entrarono proprio per la porta Collina, che indicava il perimetro della seconda metà del IV secolo; ma certo è falso che in quella circostanza perissero i monumenti serbati nel Foro, dacché il Foro Romano non fece parte della Città che dopo quell'avvenimento.
Dell'allargamento letterario degli scrittori romani abbiamo traccie evidenti dove si dice che, essendo stata modificata in fretta la Città, si occupò il suolo pubblico percorso dalle cloache, e che in ciò stava la ragione per cui le vie di essa erano tortuose. La ragione della irregolarità dei quartieri romani va naturalmente spiegata con la natura pure irregolare del suolo. Quanto si dice sulle cloache è dimostrato falso da ciò che nel V secolo, Roma non occupava tutti i sette colli del Settimonzio dell'età varroniana. E lasciando da parte che nel 184 non tutta quanta la Città era provveduta di cloache, Liv. XXXIX, 44, al caso nostro giovi notare come l'osservazione degli antichi sulle case erette ove sotto erano cloache, dovette sorgere per effetto degli incendi, che erano considerati come una calamità abituale e frequente, v. ad es. Plin. NH. XXIX, 72; Suet. Aug. 28; Sen. epist. XIV, 3, 13 (91), (altri dati sugli incendi di Roma v. racconti in Gilbert, op. cit. Ili p. 31 sqq.) Di codesti incendi si parla già ad es. per il 241, Liv. ep. XIX, per il 213^ il 210 il 192, Liv. XXIV, 47; XXVI, 27; XXXV, 40 È quindi possibileche di già i più antichi annalisti abbiano attribuito al tempo gallico gli effetti di incendi avvenuti in età loro, oppure che ciò sia stato fatto da quegli stessi scrittori dell'età graccana i quali, come abbiamo più volte notato, attribuivano al secolo V le imprese edilizie del 174 circa a. C. (v. s. p. 318, 558).
Con codeste anticipazioni stanno in perfetto accordo le dichiarazioni sulle perdite dei più antichi documenti romani, Liv. VI, 1, 9. Tali monumenti conservati nella Regia dovettero infatti essere messi a repentaglio o perire negli incendi del 241 e del 210, che investirono pure il tempio di Vesta l'atrio regio (cfr. s. parte I, p. 34).
Tutto fa pensare, come abbiamo detto, che gli annalisti, discorrendo dell'antichissimo incendio dell'età gallica, lo descrivessero in parte con circostanze appartenenti ad età posteriore. E con ciò si spiega pure, già lo feci notare, v. s. p. 97, la circostanza che dalla versione conosciuta tanto da Diodoro, XIV, 116, 8, come da Livio, V, 55, 3, si parli delle tegole date gratuitamente dallo Stato.
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Storia di Roma
Parte Seconda
di Ettore Pais
Carlo Clausen Torino 1899
pagine 746 |
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Pagina (774/795)
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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche
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