Il Comune Teramano di Francesco Savini
Cap. IX - Condizione municipale di Teramo nel periodo vescovile. 99
braio del 1276 il giustiziere di Abruzzo a favore dell'università di Teramo, che ivi appare rappresentata dal suo sindaco Venuto di Guizzone, e dai buoni uomini, di cui appresso (cap. xr, § 3).
Frattanto, nel chiudere questo paragrafo/ vogliamo accennare alla nioltiplicità dei poteri che dominava in Teramo allora, ossia sul finire del secolo xn. Da un lato veggiamo difatti la regia potestà, che, superiore alle altre, pur si contentava di esercitare i diritti di pura sovranità; poi il conte, signore feudale di quasi tutta la regione (in gran parte solo di nome), che teneva i grandi giu-dizii in essa, come mostra uno di questi nel 1196 preseduto dal conte Rinaldo de Apmtio (i) e riferito dal Palma (2) e provante che le cause di tutto il territorio della contea si definivano nella curia comitale; da un'altra parte si scorge il vescovo qual barone di Teramo co' pieni diritti feudali e finalmente in qualche modo appare anche il popolo della città, il quale, sebbene non avesse ancora ottenuta la civile libertà concessagli più tardi nel 1207 dal vescovo Sasso, pur godeva quei privilegii, che gli avevano conferiti nel 1165 e nel 1173 i vescovi Guido IJ e Dionisio e che qui innanzi esamineremo. Era questa la confusione delle podestà e dei varii diritti, che era sì comune nel medio evo e che allora tra noi in siffatta guisa manifestavasi.
8. Ma torniamo ai nostri vescovi. Detto nei paragrafi precedenti delle varie fasi della loro potenza, delle origini di questa (§ 4), degli ufficiali vescovili (§ 5), delle relazioni loro coi conti (§ 6) e del dominio loro su Teramo (§ 7), discorriamo ora (continuando a dire dello svolgimento storico della potenza vescovile), delle relazioni temporali che intercessero tra quei prelati e i Teramani, toccando i varii stadii che esse percorsero fra signore e vassalli, signore e cittadini, non più servi, e finalmente tra^ signore e cittadini di un libero comune, quando appunto questo libero divenne per concessione vescovile. Vediamo dunque in
(i) Questo sembra sia stato l'ultimo atto della podestà comitale nella regione aprutina, come appunto Rinaldo fu l'ultimo conte de Aprutio, nella pienezza del suo potere, essendo egli stato deposto dall'imperatore Arrigo VI per essersi a questo mostrato avverso (V. PALMA, op. cit., voi. I, p. 193). E poiché qui cade in acconcio, vogliamo dare un cenno degli ultimi conti apru-tini (dell'estensione dei cui diritti non abbiamo però notizia), narrando che Mo-naldo, successore del suddetto Rinaldo, fu bandito dall'imperatore Federico II, e Rinaldo figlio di questo Monaldo fu l'ultimo conte, il quale, come scrive I'ANTINORI (Mem. àbru^., voi. II, p. ni), fu spogliato e decapitato nel 1253 per ordine dell'imperatore Corrado. . (2) PALMA, op. cit., voi. I, p. 190.
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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C. 1895
pagine 612 |
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Pagina (121/635)
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