Il Comune Teramano di Francesco Savini
Cap. X - Suo svolgimento e suoi atti nel periodo di libertà (1207-1292). 107
così pure press' a poco e un po' più tardi seguì presso di noi (i). Anche a Teramo dunque la debolezza naturale dell'autorità vescovile e la crescente prosperità del popolo dovevano produrre gli stessi effetti e perciò quelle concessioni, che il vescovo Sassone fa nel 1207 ai Teramani con l'importantissimo editto, che qui innanzi (§ io) esamineremo, erano, più che frutto dell'animo generoso di quel prelato, come con poco erudita bonomia suppone il Palma (2), conseguenza diremmo necessaria del progresso materiale e morale dei cittadini che si sentivano sempre più adatti al libero vivere. E, per andar convinti di ciò, basta dare uno sguardo a quell'editto. Difatti ivi sin dal principio si parla della « iusta subditorum petitio » e della condiscendenza vescovile alle « petitionibus » del popolo teramano; nelle cui frasi appaion chiare e l'insistenza della domanda di libertà per parte dei cittadini e la capacità che aveano e sempre più sentivano di fruirne, a ciò forse mossi dall'esempio delle vicine città, siccóme Ascoli, che sin dal 1185 s'era levata a comune (3). Ciò poi meglio conferma la minaccia, che in fine dell'atto fa il vescovo ai Teramani, di ritirare le fatte concessioni nel caso essi alterino la forma dell'elezione del mediano, del potestà e dei giudici. Il che mostra da una parte il timore del vescovo che i cittadini domandassero sempre nuove libertà, e dall'altra che costoro aspirassero ad ottener forse quello stesso modo di elezione del podestà, che nelle libere città d'Italia era l'atto maggiore di sovranità che poi ottennero, come vedremo (cap. xr, § 5), nel 1251, e che senza dubbio avrebbero mantenuto se la triste compagine del regno non avesse soffocato in loro ogni gentie di libera vita. Cosi dunque il nostro popolo, al pari degli altri d'Italia, ottenuta sotto il patronato vescovile la libertà personale, mercé gli esaminati (cap. ix, § 9) editti del 1165 e del 1173, aspirò alle politiche libertà ed ali' elezione dei proprii magistrati, ciò che finalmente consegui con questo atto del 1207.
3. Se non che il passaggio del potere pubblico dalle mani del vescovo a quelle del popolo non seguì tra noi per l'intermedio dei consoli, siccome nell'alta e centrale Italia, della quale noi fummo parte sino a mezzo il secolo xii, giacché noi non avemmo quei cittadini magistrati e passammo di netto dalla libertà personale a
(1) Vedi su ciò più innanzi la prima nota apposta al § 17 di questo stesso capo x.
(2) PALMA, op. cit., voi. II, p. 13.
(3) V. Luzi, Coi»/), della storia ascolana, pag. 85, Ascoli, Cesari, 1889.
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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C. 1895
pagine 612 |
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Pagina (129/635)
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