Il Comune Teramano di Francesco Savini

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      I2o Parte III - II comune teramano nell'evo medio.
      Teramo ; che ad ogni uomo o donna fosse libero condurre la moglie od il marito, senza licenza o inchiesta vescovile, sui proprii beni; chela successione di questi, testata o intestata, seguisse senza ostacolo veruno, e che finalmente i baroni osservassero là loro parte « partem », senza che fosse mestieri mostrar loro le presenti concessioni e senza che queste cadessero menomamente a lor vantaggio. Il prelato chiudeva l'atto con le solite formole di rinunzia ad ogni sussidio di diritto, azione, leggi, e con quelle di obbligo di osservanza pei suoi successori, ecc.
      Quest'ordinamento «ordinano», com'egli si esprime, ci mostra l'alto grado di sovraeminenza, che godeva ancora il vescovo teramano 22 anni dopo la rinunzia del potere secolare nelle mani del popolò, regolando egli col presente atto il diritto di possesso e la trasmissione del medesimo; ci mostra altresì che i Teramani, intenti col loro alto signore a far rifiorire la propria città, dopo la distruzione patita nell'antecedente secolo per opera del normanno conte di Loretello, cercavano di. favorire con siffatti privilegii i nuovi venuti a ripopolar Teramo, i quali forse, nella confusione del loro avvento, non avevano guardato troppo pel sottile nel prender possesso di case e terre nell'abbandonata città. Questo vescovile editto ci dovrebbe quindi apparire una sanatoria de' nuovi irregolari acquisti. Si noti pure quella frase riguardante i baroni « quibus » - ivi si dice - & predicta omnia et singula non ostendimus, nec volumus « nec duximus aliquatenus concedenda », sulla quale ci pare cadan bene due osservazioni; la prima è che qui si tratta certo di baroni possidenti feudi in nome della chiesa aprutina e fors'anco abitanti in Teramo, ma che pur sempre si vogliono esclusi dai privilegii concessi ai semplici cittadini. Ora in ciò, e questa è la seconda osservazione, è uopo scorgere lo spirito del tempo, quando tutt' i comuni aspiravano alla piena libertà popolare e ripugnavano alla preminenza dei nobili ed anzi a qualsiasi vantaggio di questi entro le mura delle città : ciò appunto sembra far qui il vescovo Pietro, il quale, al pari de' suoi predecessori, compiva i voti del suo popolo sempre più progrediente nelle vie della libertà. E qui cadrebbe di nuovo in acconcio lamentar l'unione nostra al regno, la quale a tanta prosperità ci rapiva; ma il lettore dev'esser già pieno di tali nostre ripetizioni e noi quindi procediamo innanzi nel racconto. Questo arrivato a tal punto, se fosse nostro instituto il narrare, come del nostro comune, così ancora della provincia e dello stato le vicende, ci recherebbe a dire che intorno al 1238 l'imperatore Federico II divise il regno in provincie dette alloraV»


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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C.
1895 pagine 612

   

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