Il Comune Teramano di Francesco Savini

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      Cap. X -Suo svolgimento e suoi atti nel periodo di libertà (1207-1292). I49
      a chi di dovere, si tace il vescovo e si nomina solo il podestà {1255) (i)< Più tardi poi si fa bensì parola della riverenza verso la chiesa aprutina, ina l'obbedienza si promette al rettore di Te-ramo (1287, 15 gennaio); il che mentre ci prova da una parte che l'autorità risiedeva di fatto nel comune, dall'altra ci mostra, unito al rispetto verso l'antico signore, il continuo progresso della podestà cittadina. I diritti dì supremazia, quali che si fossero nella sostanza, rimanevano però sempre nel vescovo; e ciò ci prova l'ordine di quelli che godevano il diritto di convocare il parlamento generale del comune e i quali erano : il re, il vescovo, i cittadini (1287, 15 gennaio): tale supremazia poi, se ne fosse qui il caso, potrebbe provarsi anche meglio mercé il diritto di appello che aveva il vescovo sulle cause del giudice civile della città e che durò fino all'abolizione dei feudi nel 1806.
      Entriamo ora nella parte, che chiameremo amministrativa e che è una delle più importanti, come quella che meglio rispecchia la condizione intima del nostro comune in tutte le molteplici appartenenze della vita pubblica di allora. Essendo dunque lo scopo precipuo e manifesto dei patti qui esaminati, come agevolmente si scorge, di accrescere la popolazione della città già disertata nell'antecedente secolo xu dall'incendio e dalla ruina, non che quello di soggiogare i potenti vicini certo non represso; così vediamo nei primi di essi i baroni pattuire un'abitazione in Teramo di almeno quattro mesi all'anno (1211) insieme con le loro famiglie. Con l'avanzarsi poi del tempo aumentavano le esigenze cittadine e non solo perciò i baroni con le loro famiglie, ma altresì coi vassalli, scendevano a popolar Teramo, e non più per quattro mesi, ma invece per sei (1252), fino a che l'abitazione non si prometteva addirittura perpetua (1287, r5 gennaio). Sempre poi ne aveano a compenso cittadinanza, fondi e case (1211,1252,1257,15 gennaio). Talvolta anzi i nuovi venuti dovevano giurare l'osservanza ditutt'i
      (i) Dicemmo più sopra che noi entrammo più tardi delle altre città italiane nella via della libertà. E di vero qui cade in acconcio citare il fatto di una di tali città posta in quel centro d'Italia, con cui noi avevamo maggiore affinità storica. Quella città fu Orvieto, ove i documenti ci dimostrano che i consoli cominciarono nel 1168 (Funi, Cod. Aiflom. ffOrvieto, Firenze, 1884, doc. xxxix) ad intervenire negli atti pubblici soli e senza il vescovo. Da ciò argomenta il FUMI (loc. cit.) essersi la città da questo tempo liberata « da qualunque ingerenza di governo vescovile in tutto che non riguardasse a chiese « e a cose sacre ». Tal fatto invece tra noi seguì quasi un secolo più tardi, come sopra si scorge.


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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C.
1895 pagine 612

   

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