Il Comune Teramano di Francesco Savini

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      174 Parte III - II comune teramano nell'evo medio.
      « voglia venire ad abitare nella città e nel contado sia bene accolto « dal podestà, giudici e notai : possano gli Atriani liberamente a « loro piacere scambiarsi i privilegii, la cittadinanza coi naturali di « Silvi, Belforte, Elice, Tizzano, Poggio Camardese, Bozza, Caci stilemi, Lotaresco, Scnlcula e Celiino ».
      Sommamente prezioso è questo documento per varii riguardi. Da un lato esso ci mostra quanto parziale sia il giudizio di quegli storici che diremo neo-ghibellini del regno di Napoli, i quali si adergono contro la dominazione pontificia sul medesimo nel periodo qui contemplato, senza considerare quanto essa sarebbe stata propizia allo svolgimento delle libertà comunali delle città poste al confine settentrionale di detto regno, le quali, se vi avesse avuto durata, avremmo certo veduto fiorire al pari di quelle mar-chegiane ed umbre, a cui le nostre si volgevano col massimo sforzo. Solo Aquila potette tener testa all'infausto regno sino almeno al principio del secolo decimosesto, perché maggiore di forze e di popolo : ma Teramo ed Atri, quali città più piccole e più deboli, soggiacquero troppo presto al triste influsso. Sarebbe stata vera ventura allora, dopo la fatale separazione subita nell'antecedente secolo xn, il nostro ritorno nel seno del padre Piceno.
      Notevolissimo è poi per la storia municipale di Teramo quest'atto del papale legato come quello che da ragione di tutti quei diritti che godeva Teramo nel secolo xm e che, senza tal documento, di cui è necessario argomentare uno analogo per noi, resterebbero senza spiegazione storica, giacché questa non può trovarsi nell'editto vescovile del 1207 (cap. x, § io). Cosi il podestà scelto fuori del regno, e specialmente nelle Marche e nell'Umbria, il diritto di fare statuti, il parlamento, lo stringer patti di cittadinanza co' vicini paesi, la simiglianza, tante volte da noi notata, della nostra costituzione municipale con quella delle città marchegiane ed umbre (modellandosi le leggi atriane su quelle perugine, di una città cioè la più fiorente e libera delle due nominate regioni pontificie) trovano nella carta atriana la loro piena storica e legale origine. Di qui anche il naturai timore dei re napoletani contro le libere aspirazioni de' nostri, manifestatosi col toglierci l'italico podestà e col vietarci il giudice non regnicolo, accusandoci insieme, siccome vedremo appresso (cap. xiu, § 4), di volerci erigere a libero comune, al pari di quei delle Marche e della Toscana. Quale immensa iattura fu dunque per noi il non essere almeno allora potuti tornare alla vecchia unione!


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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C.
1895 pagine 612

   

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