Il Comune Teramano di Francesco Savini
Parte III - II comune teramano nell'evo medio.
simo tempo e sino al principio del presente secolo il giudice vescovile delle seconde, ossia delle seconde cause civili.
15. Nella moltiplicità e confusione dei diritti, grande contrassegno nella vita pubblica del medio évo, non poteva certo mancar tra noi il foro dei baroni, precipua classe sociale specialmente nel regno di Napoli. E invero abbiamo scorto nei patti di cittadinanza contratti nel 1211, nel 1252 e nel. 1256 coi vicini feudatarii, costoro riservarsi il dominio signorile sui beni e sulle persone dei loro vassalli scesi ad abitar Teramo ed anche il diritto di erigere nella stessa città tribunale pei proprii vassalli con l'assistenza però del giudice teramano. È 'qui pure il luogo di notare che i baroni venuti in città non godevano alcun pubblico privilegio (oltre questi meramente personali sui loro vassalli) e molto meno veruna speciale ingerenza sulle cose cittadine : anzi abbiamo veduto (cap. x, § n) nella concessione vescovile del 1229, a favore dei possidenti di Teramo, esclusi da ogni benefizio i nobili.
16. Detto dell'organismo del comune teramano e delle sue magistrature durante il secolo xm, crediamo qui utile, per dare una idea quanto si possa compiuta del nostro organismo generale allora, chiudere il capitolo gettando uno sguardo sullo stato politico-amministrativo della nostra città in quell'epoca. Esso fu singolaris-simo ed è perciò degno di molto studio da parte dello storico. Teramo, posta, a dir così, tra il regno di Napoli e lo Stato pontificio, e sebbene appartenente al primo, partecipava nondimeno alle condizioni delle città regnicele e di quelle papali. In faccia al re non era più che uno dei tanti feudi avente un barone, non laico, ma ecclesiastico : il proprio vescovo ; in faccia a quest'ultimo un vero libero comune, pari a quelli delle vicine Marche, che eleggeva a sua posta il podestà con la giurisdizione civile e criminale e col governo della città, tanto che il Muzii (i) lo disse governatore: a tal prezzo Teramo potè, salvando la tradizione italica del comune, serbare intatta la libertà, che avea saputo ottenere da' suoi vescovi. Altro segno d'indipendenza di fatto dal re potrebbe riguardarsi il pagar essa solo pochi sussidii, come scrive il Muzii (2), al vescovo, mentre questo sborsava, come ogni altro barone, l'adoa al sovrano. Ma questa condizione di libertà, quasi diremmo unica, come ognuno agevolmente può pensare, non doveva durare a lungo in uno Stato
(1) MUZII, St. di Teramo, dial. 3°.
(2) MUZII, op. e loc. cit.
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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C. 1895
pagine 612 |
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Pagina (200/635)
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