Il Comune Teramano di Francesco Savini
3 5 O Parte IV - II comune teramano nel!' èro moderno.
« de' tre Ceti, de* Nobili, de' Civili e del Popolo ». Ecco dunque come da un capo ali' altro del regno i vecchi privilegii della nobiltà allora scadevano e lor sorgevano a lato i diritti popolari, che più tardi poi gli avrebbero in tutto soffocati !
13. Ma, tornando al fatto nostro, osserveremo che lo spirito de' nuovi tempi, che chiaramente informava le surriferite determinazioni del governo napoletano d'allora, doveva operare tra noi siccome altrove. Se non che del caso nostro è uopo riguardare il lato proprio e studiarne le particolari cagioni insieme. Questo lato è la negazione da parte del regio governo dell'esistenza in Teramo di un ordine nobile per le ragioni che si leggono addotte nel riportato dispaccio (§ n), e che in sostanza consistono nel non trovare nei nostri quarantotto e, si noti, nella loro maggioranza, non solo le coudizioni richieste allora nel regno per esser ritenuti nobili, ma anche il possesso de' beni e persine la comune istruzione. Ora noi, checché siasi della questione giuridica del tempo e del luogo, della quale non abbiamo ad impacciarci, dobbiamo qui invece discutere il valore storico della regia opinione. Prima di tutto conviene avvertire, che fra i titoli alla nobiltà non si annovera nel citato dispaccio l'ascrizione delle famiglie nei registri municipali; e certo essa non poteva addursi perché appunto quel fatto dibattevasi fra noi. Eppure la qualità patrizia, conferita dalla detta ascrizione, è stata sempre e dappertutto reputata maggiore della nobiltà concessa dai principi, come mostrano anche i moderni elenchi nobileschi delle più cospicue città d'Italia (i). Ma v'ha di più: l'attuale consulta araldica del regno d'Italia ammette in sostanza lo stesso principio (ciò che, se fosse qui il luogo di trattarne, risolverebbe la questione giuridica pei tempi e luoghi presenti), allorché stabilisce, che negli elenchi della nobiltà regionali del regno si pongano fra le altre le famiglie italiane « che furono « regolarmente ascritte ai registri di comuni che godevano di una « vera nobiltà civica o decurionale » (2). All'applicazione non pertanto di questo articolo fra noi altri potrebbe opporre appunto il citato dispaccio del 1790, giacché questo, negando la nobiltà, e quindi il diritto ereditario municipale, ai nostri quarantotto, darebbe luogo a reputare irregolare l'ascrizione loro ai registri teramani e perciò privi i medesimi della vera nobiltà decurionale voluta dalla
(1) Cf. ad esempio la Guida ammin. di Firenze.pel 186), a p. 3.
(2) Cf. Regolamento per le iscrizioni d'ufficio nei registri della Consulta araldica, approv. con regio decreto dei 15 di giugno del 1889, art 4.
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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C. 1895
pagine 612 |
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Pagina (372/635)
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