Il Comune Teramano di Francesco Savini
Cap. XXVI - Sue condizioni nel periodo del patriziato (1507-1770).
desime quanto più il suo amor patrio sapesse, scusa il difetto tra i cittadini di signori di feudi e di ricchi di censo per cento o du-gentomila scudi di facoltà, col dire che ai primi dava compenso la famiglia Acquaviva godente allora i titoli di duchi di Atri e •di principi di Casetta (quasiché ella fosse di Teramo o quivi dimorasse) e la mancanza dei ricchi spiegando (i) con 1* attribuirla al niun commercio marittimo, alla poca cura dell'agricoltura e alla scarsezza di larghi poderi e di pascoli e quindi di quelle numerose gregge di pecore, di cui si contavano fino a ventimila capi negli altri luoghi di Abruzzo. Mancavano così i tre modi di conseguire grandi ricchezze. Di tale negligenza dava poi la colpa ali* abbondanza ed alle comodità del paese, che tenevano raccolti i cittadini entro il proprio territorio. Ed un* altra cagione adduce il Muzii (2) della scarsa fortuna de' Teramani del suo tempo, la quale noi qui vogliamo riferire con le stesse parole sue, non perché •essa sia da stimarsi di molto valore, sibbene perché tal tratto ci porge un'idea esatta della vita intima de' suoi concittadini. « Un'altra « potissima cagione - scrive egli dunque - posso dire, per la quale « gli huomini di queste nostre parti non possedono grandi ricchezze « et è che s' un padre con l' industria, diligenza e parsimonia bavera « accresciuta la facoltà (diciamo per esempio) la valuta di venti « milia scudi; i figliuoli parendo loro di stare assai comodi, aborriscono ogni esercitio, ancorché lecito, civile, et honorato, e (quel « eh' è peggio) sfoggiano nei vestiti più del dovere, attendono alle « caccie, a i giucchi proibiti, e ad altri dannosi solazzi. Muore tra « tanto il padre, essi dividono I' heredità, tolgono moglie, moltiplicano i figlioli ; onde, perché sono invecchiati nell' odo divengono necessariamente poveri». Ecco dunque come l'ingenuità •del nostro cronista, per quanto velata dall' amor patrio, mostrandoci la miseria economica delle nostre famiglie, ci da la vera causa della mancanza di un ceto ricco e che potesse dirsi veramente nobile fra noi; donde altresì quella meschinità nel contegno e negli abiti ufficiali dei civici magistrati, che vedremo comparire in questa fine del secolo xvi (§ 8 e). Nonpertanto tale stato sociale apparirà sempre strano, giacché non si può bene intendere perché in Teramo le case principali non arrivassero mai, per tutta la durata di questo lungo periodo (1507-1770), a conseguire quelle ricchezze e quegli alti ufEcii pubblici che solo valevano allora (come pur valsero nella
(i) Muzii, op. cit, p. 114.
(i) Muzn, alla fine del terzo dialogo.
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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C. 1895
pagine 612 |
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Pagina (427/635)
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