Il Comune Teramano di Francesco Savini
44^ Parte IV - II comune teramano nell' évo moderno.
eletto fra i cittadini. Difatti nel nostro archivio comunale abbiamo trovato una copia di un dispaccio sottoscritto dal Tanucci e dato da Napoli ai 14 di agosto del 1756 per uso di Atri e di altre città, e dicente: «Sua Maestà ordina che si lasci correre il solito per « Giudici civili, cioè che questi possano essere Paesani ».
In quanto poi alle incombenze strettamente municipali diremo che il giudice presedeva alle adunanze del magistrato ed era il primo ad intestarne gli atti, come si è visto qui sopra, senza però aver diritto di voto : e faceva da interprete autorevole del linguaggio legale del nostro comune. Cosi in una riunione dei dodici elettori del magistrato, tenuta agli 11 di giugno del 1553 (e. no), il giudice dichiarò che nell' intestazione degli atti comunali « ludex, Refi gimen et Universitas regiae Civitatis Terami », la parola Universitas doveva indicare i sindaci che la rappresentavano ; quindi i suddetti elettori doveano nominare, oltre i sei signori del reggimento, anche i due sindaci. Nelle deliberazioni del consiglio comunale il giudice ordinava ad uno dei sindaci di presentar le materie alle medesime (e. 68). Ad istanza dei signori del reggimento convocava con mandato nella cancelleria gli elettori de' nuovi signori (e. 79). Esercitava poi anche l'ufficio giuridico, secondo vedemmo nel periodo antecedente (cap. xix, § io).
Le leggi poi e le consuetudini, che regolavano l'ufficio del giudice, le comunicava a questo il magistrato, quando gli conferiva la carica per sei mesi, ed erano le seguenti (cc. 128, 129): egli doveva giurare di esercitare rettamente il suo ufficio in verba, come abbiamo detto ora, del cancelliere, dimorare nel palazzo del comune e non partirsi dalla città senza la licenza del consiglio, non farsi sostituire da alcuno nell'ufficio, giudicare nei giorni di lunedì, di mercoledì e di venerdì che non fossero festivi, fare scrivere gli atti al mastrodatti, che ora diremmo cancelliere, secondo la forma prescritta dagli statuti, e già da noi esaminata (cap. xx, §§ 7 e 8), fare gratuitamente ogni scrittura ed ogni missione. Doveva pure osservare gli statuti e tutte le leggi e consuetudini della città, e riscuotere il salario, in caso di assenza o di morte, solo pel tempo occupato per le sue incombenze, contentarsi dell'attuario della città, donare al sindacatore, dopo terminato l'ufficio, due baliste di acciaio del valore di venti carlini, e finalmente render conto di quello ai sindacatori fuori del pubblico palazzo e per lo spaxio di tre giorni. Il suo stipendio era di trentasei ducati per sei mesi che durava nella carica, e più godeva il giudice civile la metà dei proventi degli atti civili e gli altri emolumenti soliti, però non repugnanti « iuri et aequitati ».
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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
di Francesco Savini
Forzani e C. 1895
pagine 612 |
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Pagina (464/635)
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