Storia di Torino di Luigi Cibrario
CAPO NONO
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determinare come e qual moneta si spendesse, o in materia (F annona, aflin di vietare o permettere Festrazion del grano. Ma prima di farlo chiamava a se i deputati dei comuni, e con loro e co? dottori del suo consiglio consultava. Nel 1528 convennero i deputati dei comuni di tutta la patria, cioè di tutto il Piemonte a Pinerolo, e s'occuparono d'una legge suntuaria che non è a noi pervenuta. Ma nel 1591 volendo il principe vietar negli abiti Fuso dell'oro, dell'argento, de'vaj, e d'altri arnesi ed ornamenti di caro pregio, ed avendone scritto la sua intenzione al consiglio di Torino, il medesimo rispose deliberando « che ciascuno sia libero e franco di portar perle, oro, argento, ed altri ornamenti, siccome è usanza della città, uomini e donne , cittadini e abitanti »,
In fatto di monete gli abusi eran grandi; e dopo il reo esempio dato da Filippo il Bello, re di Francia, niuno si vergognava di coniar monete di valore molto inferiore al valor nominale, rubando con sì malvagia baratteria i popoli, e assassinando il commercio; e si vietava Fuso di monete straniere migliori spesso delle nazionali, e però piii ricercate.
Nel 1527 Filippo d'Àcaia chiedeva ai Torinesi
qual provvisione fosse da farsi in fatto di monete. Risposero : per lo migliore consigliamo che non si faccia nulla.
In gennaio del 1380 Amedeo d'Acaia e il conte Verde vietarono si spendesse moneta straniera.
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Storia di Torino
Volume Primo
di Luigi Cibrario
Alessandro Fontana 1846
pagine 531 |
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Pagina (427/531)
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