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dere il filo del ragionamento affastellando parole insensate; o per pronunciare fuori di proposito lo strafalcione che volevano evitare.
A tutto questo si rimedia, come ho detto, con lo studio, con la preparazione di quanto si vuol dire, scrivendo ciò che si vuol pronunciare davanti a pochi o a molti uditori.
L'oratoria conviviale è quella che maggiormente si pratica da quando i banchetti hanno sostituite molte altre vecchie funzioni civili e religiose nella moderna convivenza sociale.
I caratteri particolari di codesta oratoria dovrebbero essere la spontaneità ed efficacia nella brevità del dire ; quindi ricchezza di colorito e di intelletto, rispecchiante il pensiero e l'animo dei commensali.
E sebbene i discorsi non lieti siano ornai banditi dalla mensa, in fatto, oggigiorno il banchetto si trasforma in un supplizio per la consuetudine di alzarsi sul finir del pasto, onde infliggere ai commensali una finta improvvisazione.
Questo difetto purtroppo è comune a noi latini, che pure abbiamo l'ingegno agile e lo spirito acuto e leggero. Noi facilmente trasformiamo la letizia di un convivio amichevole in una faccenda ponderosa, o in una accademia di pedanteria, capaci di produrre un mala digestio nei commensali.
A un banchetto chi deve parlare, o agogna di pronunciare due parole, non si levi con faccia infastidita o pretenziosa; si alzi con spontaneità e favelli (se lo può, altrimenti taccia) con semplicità arguta e cordiale,