Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      PREFAZIONE XIr ingegno italiano comunicava largamente con la mente europea, e n era più spesso guida che discente ; in cui gli scienziati si credevano più consorti che rivali; età veramente beala e invidiabile, dice il Gori, in cui al maggior segno crebbe la gloria di Firenze, non si essendo ancora levato su un certo spirito, dedito al motteggiare, e sfatare, pago sol di sè stesso, adug-giatore e infestatore de* letterari esorcizj ; da cui fu gettata fin d' allora, e in altri a lui simili fatta germogliare una certa mala semenza d'invidia e di superbia, disturbatrice maligna della letteraria amichevol quiete, la quale in quei savj sommamente fioriva. Che direbbe il Gori ora che la sola beffe tiene il campo , e V infinita schiera degli sciocchi, non impara a conoscere la fiso-nomia umana che nelle contorsioni di Jlogarth?
      Il marchese abate Antonio Niccolini, discepolo diletto deW Àverani, che morendo gli donò le sue Interpretazioni, ed a cui innalzò un sepolcro di marmo in S. Marco di Firenze, non sembra apprendesse dal maestro il bello stile, perchè nella orazione funerale che egli ne disse nell'Accademia della Crusca, con splendido e lugubre apparato tenuta nel salone del Palazzo de9 signori Principi Corani il di 28 aprile dell' anno 1715, lavoravadi mosaico così: Preso dall'ammirabil maniera di filosofare del nostro immortale accademico il gran Galileo, vero maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia, non piti potè,


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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