Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      PELLE CEKE PIUVATE 19
      spediti a Roma da qualunque parte del mondo, da alta maravigli* sorpresi restavano vedendo le mense de'ito-y^ni abbondevolissimamente fomite di quelle vivande, le quali nella stessa loro patria ove nascevano, e d'onde a Roma si trasportavano, scarsissime si ritrovavano. Varrone, al cui tempo non era ancora il lusso al sommo pervenuto, nella Satira delle vivande, secondo che rapporta Gellio, rampognava fieramente i Romani, perchè tanti strani cibi da sì lontani paesi venir facessero, come per esempio dalla Media c da Samo i pavoni, dalla Dalmazia i capretti, dal mar Nero, dall'Arcipelago, c dallo stretto di Gibilterra alcuni pesci, ed in simigliante guisa l'altre cose da mangiare annoverate si da questo scrittore, e si da Clemente Alessandrino nel suo Pedagogo.
      Aggiungevasi a queste spese l'abbondanza e dovizia delle vivande, che copiosamente arrichivano le mense. Quanto crediamo che costasse la cena fatta a Vitcl-lio dal suo fratello, nella quale furono in tavola due mila elettissimi pesci , e settemila uccelli V Quanto la cena d'Eliogabalo, del quale scrive Lampridio : Exhi-buit aliquando et tale convivium 7 ut li ab ere t viginti, et duo fercula ingentinm cpularum , sed per singula lavarent t et mulierilw* uterentur et tpte et amici. Il ferculo era come una barella ripiena di piatti di diverse vivande. Petronio ne descrive uno, che conteneva dodici statue, da nostri scalchi addimandate trionfi, ciascuna delle quali portava diverse vivande. Per la qual cosa con ragione esclama Giovenale contra i golosi de'suoi tempi :
      Qui» fercula septem Secreto cornava avut ?
      Per lo contrario Svetonio loda Augusto, perciocché come egli scrive : Cfea^m terni* ferculis aut cum abun-dantistime serti* protbtbal, ut non nimio sumptu , ita


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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