Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      DKLL'UBBBIÀCHBZZÀ P. DEfOF BEVITORI 123 s'addormentava si forte in Senato che non poteva risvegliarsi ; onde faceva di mestiere portarlo via di peso, si era dal vino e dalla sonnolenza oppresso. Di questo similmente testimonia Seneca , che si portava bene e non mai rivelò alcun segreto di que moltissimi, che sovente a lui Tiberio communicava. Innalzò parimente al grado di questore un uomo vilissimo e da nulla e l'an-tipose a suggetti nobilissimi; perocché da lui sfidato a bere avea cioncato un' anfora di vino. Fiori a tempo di quest' imperadore il valente e famoso bevitore No-vellio Torquato Milanese, ammesso a'primi onori della città, il quale fu cognominato Ti*icongio dal bere eh V faceva tre cogni di vino tutti a un fiato, senza nè riposarsi nè respirare nè lasciarne pure una gocciola nel boccale da gittarc in terra e far quel romore. e quel gioco che addimandavano cottabo. Dopo questa gran beveria ne faceva altre minori e non che vomitare o imbriacarsi non pativa alcuna alterazione nella mente nò nel corpo. Ancora il figliuolo di Cicerone avverando il detto de'Greci: che sono stolti i figliuoli de'savi, faceva simigllante prova tracannando senza fiatare due cogni di vino. Ma egli non reggeva tanto alla violenza del vino e s'imbriacava ; e si legge che un giorno avventò briaco un bicchiere a Marco Agrippa.
      Le donne non erano più sobrie degli uomini, delle quali scrive Seneca: non minus potant et oleo et mero viros provocant, atque invitis ingesta visctribus per os reddunt et vinum omne vomitu remetiuntur. Ma troppo larga materia di favellare si ò questa; ed ora io m'accorgo d' avervi di soverchio assetati, lasciandomi trasportare a ragionarvi de' bevitori in vece di proporvi delicate bevande, onde la sete estinguer poteste. Ma giacché il tempo più non mei permette , mi riserbo a ciò fare in altra adnnanza.
      Non voglio già tralasciare di soggiugnere brevi parole per ispiegarvi che cosa fosse il eottabo , cui testé


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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