Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani
124 lezione decimaho menzionato. Era il cott&bo un giuoco e trastullo dei conviti, con. cui si spassavano i lieti, festevoli bevitori, rovesciando quel po'di vino, che restato era nel fondo del bicchiere dopo aver beuto e scagliandolo sul pavimento con tal maestria che facesse scoppio e romors: e siccome uomini agurosi ch'egli erano, prendevano felice augurio qnando rovesciato il vino faceva strepitoso scoppio. Oicorone rapportando il fatto di Teramene fatto morire con veleno, da Senofonte raccontato, con queste parole spiega la parola a7ro>i©TrafS:Greco: Venenum ut sitiens obbibisset, reliquum sic e poculo eiecit,ut id resonaret ; quo sonitu reddito, ridens: propino, inquit, hoc pulcro Critice} qui in eum fuerat teterrimus. Non poteva pił acconciamente descriversi il cottabo. Per questo ^strepito con leggiadra traslazione Plauto chiama cottahi le percosse de* flagelli :
Cave sis tibi, ne bubuli in te eottabi crebri crepsnt.
Quantunque questo spasso fosse proprio de* Greci, i quali anche in altre guise pił maestrevolmente giuca-vano questo gioco, come potrą a suo senno leggere ciascheduno nelle Cene d* Ateneo, ed appresso Snida, Polluce ed Esichio: nulladimeno pare, che ancora per li Romani si costumasse, come accenna Giovenale:
laudare paratus,
Si bene ructavit, si rectum minxit amicu* ;
Si trulla inverso crepitum dedit aurea fundo. tE Plinio parlando di Novellio Torquato: nihilque ad elidendum in pavimentis sonum ex vino reliquisse. Ed
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