Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani
DELLE VARIE BEVANDE DEGLI ANTICHI 127 sola di queste contenti sono gli uomini ; ma, il più, lo nazioni usano tutte insieme queste cotali bevande, anzi per diletto della gola, cbe per bisogno, o per sete, cbe gpegner si convenga.
Nè questa soverchia cupidigia di solleticare il palato con tanta diversità di strane bevande è moderna.
Non fu minore V ingordigia degli antichi dilcttantisi oltre ogni credere d'una varietà indicibile di vini e d'altri beveraggi. Non si può leggere senza maraviglia ciò che ne scrive Plinio : Quanto tamen in potu inge-ntostor apparebit ad biòcrìdum generibua centum no-naginta quinque ; ai apeciea vero ceatimentur, posne da flici numero excogitatia. Noi quantunque nelle faccende della gola ingegnosissimi, e valentissimi siamo, con tutto l'aiuto della navigazione mirabilmente facilitata, dei paesi nuovamente scoperti, del traffico grandemente accresciuto, e del commeiciò, che con tutte le nazioni del mondo strettamente ci unisce, nè pur la metà annoverar ne potremmo.
Non è mio intendimento qui il raccontarvele; perciocché troppo lunga impresa ed impossibile, non che malagevole sarebbe ; perchè gli antichi scrittori di ciascheduna spezie particolare e distinta menzione uou fanno : solamente dirò alcuna cosa delle più usitatc e principali succintamente: e per divisarle distintamente in tre generi le divìderemo e disporremo tutte ; perocché quali di esse erano fatte d! acqua ; e quali di frutta, e di pomi; e quali finalmente d' uva, e di vino.
Tra le bevande fatte d'acqua era usitatissima la mulsa, o idromele , che nell'uua e nell'altra maniera s'appella tanto nell' idioma toscano, quanto nel latino la bevanda composta d'acqua e di mele. Per far V idromele pigliavano acqua piovana, e la serbavano cinque anni, ovvero ne sfumavano la terza parte al fuoco, aggiugneadovi la terza parte di mele vecchio, e lo tenevano al sole per quaranta giorni del mese di
| |
Plinio
|