Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani
138 LEZI0KE DODICESIMAquanto guise li manipolavano. I vini dolci li facevano o con torcere il gambo a* grappoli; o con incuocere l'uva nell'olio bollente ; o con lasciarla appassire al sole finché scemasse di peso quasi per la metà e dopo pi* glandola e spremendola leggermente, e in questa ma-niera facevano il moscadello rosso e bianco ; o empiendo di mosto vasi di terra ben chiusi e tenendoli sotto acqua sommersi finattanto che passasse Vinverno; o in altare guise che per dir breve tralascio. Solo piacemi rammemorarvi un certo vino da Cassiodoro e dal nostro Ulpiano detto Acinatico, il quale si faceva cosi. Tene-vansi appesi li grappoli delT uva ad alcune pertiche, fintantoché pel freddo crepati gli acini colasse il mosto il qnale raccattavano e serbavano. Un somigliante vino per Plinio s'addimanda protropum; il quale egli descrive con queste parole: Mustum sponte defluens ante-quam calcentur uvee. Hoc protinus diffusum lagenis sui» de fervere passi; poste a in Sole quadraginta diebus tor-rent mstatis sequutee ipso Canis or tu.
Non tanto godevano gli antichi della varietà de*vini quanto della loro vecchiezza. Rimprovera a' Romani cotanto soverchia delicatezza Seneca : Quoniam non contenti vina diffundere veterana, et per sapores, cetatesque disponete, invenimus quomodo stiparemns nivem, ut ea mstatem evinceret: ed altrove : Cur apud te vinum celate tua vetustius bìbiturt Ovidio, nel secondo libro dell'arte amatoria:
Qui properant9 nova musta bibanl, mihi fundat avitumConsulibus priscis condita testa merum.
E ne' Fasti, libro quinto :
Quceque p&er quondam primis diffuderat annis Promit fumoso condita vina cado.
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Vinverno Cassiodoro Ulpiano Acinatico Plinio Mustum Sole Canis Romani Seneca Quoniam Cur Ovidio Fasti Promit Hoc
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