Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      142 LEZIO ICE UNDICESIMAche sopra ove tratta del murrina appetito dagli antichi dice: ideo quidam arornatile delectatos maxime credutit E nel capitolo seguente congiugne insieme questi viui: nisi si quis natura opus esse credat aromalUen, et ex unguenti* vina composita ; aut ut biberentur genutsse eam frutices> Avevano gli antichi la mirra e la ragia di mirra più preziosa e più odorosa della mirra e l'appellavano $tacte1 e questa sola serviva per manipolare T unguento come dice Ateneo. Può esser dunque che questa parimente bastasse per dare il murrina, benché poi altri legni odorosi v'aggiugnessero e con altre composizioni unguentarie di vari odori l'impregnassero, dimodoché appena differisse dall'aromatite- Pare che Plinio favorisca questa opinione: Laudatissima apud prisco* vina erant myrrhce odore condita, «i apparel in Plauti fabula, qua Persa inscribitur : quamquam in ea et ca-lamum addi iubeL Ideo quidam ar ornatile delectatos maxime credunt. Quindi soggiugne versi di poeti trattanti del vino murrina. E benché la mirra fosse amara e '1 murrina dolce, come Giulio Polluce e Gellio confermano e da Plauto tra'liquori dolci s'annoveri, come osserva anche Plinio; nondimeno ciò avveniva, perchè condivano colla mirra il mosto o vin dolce: offis in muslum, aut dulce vinum desectis, dice Plinio, e forse v'aggiugnevano del mele por temperare l'amarezza della mirra, come d'altri vini insegna Dioscoride.
      Ma il Salmasio, siccome uomo di profondissima letteratura e d'acuto spirito e di critico e franco ingegno, Plinio aspramente riprende, quasiché senza ragione credesse, che il murrina fosse cosi nominato dalla mirra e con dotte e salde ragioni il riprova e '1 confuta, dimostrando questo nome trarre sua origine dall'unguento che mischiavasi col vino; e non dalla mirra la qualo amara ed ostica non potteva avere alcuna parte nella composizione d'una bevanda si soave e si dolce. Io non so se Plinio questi rimproveri a ragione sostenga. Non


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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