Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      154 LEZIONE TREDICESIMAalle caldissime bevande propriamente conviensi la mar-
      rina, delk quale altra volta diffusamente parlammo:
      Si calidum pofa*, ardenti murrha Falerno Conventi
      Pel contrario chiunque volesse tenore dalie bevande tiepide, valer si potrebbe dell'autorità di Svetonio , il quale parlando di Nerone ramingo, scrive: Panem qui-dem sordidum oblatum aspernatus e$i ; aquce autem tepida aliquantuìum bibìL E di Seneca : panem agilis est puer, aui tepidior aqua potuù E del medesimo Marziale:
      ante
      1 nei piai po$itu$ quam tepuisse calix.
      E quantunque alcuno potesse rispondere, che talvolta gli autori latini usano la parola lepidus per significar caldo; come Lucrezio:
      Tepidisque camini*>
      E Marziale :
      Cireumfert tepidit coeu$ popinis ;
      nientedimeno Plauto delle bevande cocenti ne parla come di bevande insolite o non acconce a bersi. L. Dii me perdant si bibi, si Intere potai. P. Quid iamf L. Quia enim absorbui; nam nimis calebat, amburebat gutturem.
      Convien dunque dire che ognuno beesse a suo senno ; altri più, ed altri men caldo: volendo ciascuno al suo gusto, ed al diletto della gola soddisfare. Imperciocché le bevande calde dilicate e deliziose si giudicavano : ed anzi da' morbidi e nel ber molli che da' severi s* usavano. Le parole di Filone sopra da noi rapportate il


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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