Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      iivisarne la bontà e salubrità. Erasistrato a ragiono Deffava l'inconsideraziono di coloro che pretendono di-fcornere eolla stadera la bontà dell' acqua f avvisando .he l'acqua cattiva niente più pesa dolla buona. Egli [• vero che oggidì coli' in strumento chiamato comunemente Idrometro, si può distinguere qualunque menoma differenza ; nientedimeno questa è tanto piccola che ap* pena con grand'accortezza di senno e con molto sagace discernimento altri può accertarsene. Molti tuffano gli Idrometri nell'acque, la coi gravità investigare intendono senza osservare la loro freddezza. Ora è da sapere che l'acque, quantunque tenute per luago tempo nello stesso luogo non si riducono naturalmente al medesimo grado di caldo o di freddo: per la qualcosa V Idrometro nella più fredda meno si profonda, perciocché la più fredda è più pesante, non per sua naturai gravità, ma perchè [1 freddo la rende più densa e la ristrigne; sicché in minor luogo si raccoglie. Per la qual cos* bene ama* raviglia disse Ippocrate: Vacqua più leggera user queli* che più agevolmente ti riscalda e si raffredda; al freddo ed al caldo, anzi che al peso, la salubrità dell' acqu* attribuendo. Plinio però afferma, che più impura e fec* ciosa è quell'acqua che prestamente si riscalda. Volendo una volta provare V acqua di Pisa, paragonandola con certa acqua di pozzo che non era buon* nè per j'uso della tavola, nè per quello della cncina, e ridu« cendo l'nna e l'altra al medesimo grado di freddo, con infondere dell'acqua tiepida nella più fredda, trovai chq appena in ottocento libbre d'acqua vi erano cinque once di differenza di peso. Or vedete che mmnzia è mai questa. Quando uno avesse bevuto ventitré fiaschi di queir ^cquaccia di pozzo, non avrebbe bevuto se non un'oncia di più, cho bevendo dell'acqua di Pisa stimata sopra tutte leggierissima. Credete voi, che quell'oncia di peso di più grave danno appartar possa ? Convien dunque investigare altre cagioni della salubrità del-


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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