Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani
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parole si dee osservare il costume (li mangiar la neve, abbominato anche in altri Itìoghi dal medesimo Seneca: quid tu illam oestivam nivem non putas callum iecinoribus obduceref Dove inoltro rampogna le donno cho al pari degli uomini: nivem rodunt solatium stomachi cestuantis. Questa maniera d'agghiacciare il vino accenna Marziale:
Sexlantes, Callista, duos infunde Falerni Tu super mstivas, Alcime, funde nives.
Ed era molto praticata da* Greci, come si potrebbe dimostrare per l'autorità de'poeti riferiti da Ateneo nel libro terzo delle Cene de* eavj, dove tra gli altri rapporta un leggiadrissimo epigramma di Simonide, dove si raccomanda al coppiere che siccome agli altri con-vitati, cosi a lui infonda la neve venuta dal monte Olimpo. Perchè i poeti greci sovente usano questa maniera di favellare x'»*** ber la neve ; la quale può anche applicarsi al bere che facevano dell'acqua di neve strutta, come dirassi appresso.
Altri con acqua o con vino dilavando la neve e 1 ghiaccio, l'uno e Val tra rendevano freddissima. Gellio nelle sue Notti Àttiche: is noe aquam multam ex diluta nive bibentes coercebat: e Macrobio quistiona onde avvenga che 1* acqua agghiacciata nella cantiuetta sia meno nocevole, quam ex ipsa nive aqua resoluta. Plinio similmente, supponendo per certo una tale opinione, scrive: Neronis Principia ràamtem est decoquere aquam, vitroque demissam in nives refrigerare, ita voluptai frigoria contingit sine vitiis nivis. Questo beveraggio da Teocrito è addi-mandato:
Acukos I* x.to*o; -KQZQt àiifipaatsi.
Di bianca neve poziori divina.
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