II. PARADISO 29
ieatrice un dolce sorriso d'assenso, si scusa di non x>ter esprimere, per condizioni peculiari dell'umana natura, tutto l'affetto che sente; e supplica lo spirito di manifestarsi.
E la luce: « Io fui il tuo progenitore, — incomincia — ; colui dal quale la tua famiglia ha preso il cognome, e che più di cent'anni ha scontato la colpa di superbia nel primo girone, fu mio figlio e tuo bisavolo; e tu devi colle tue opere abbreviargli il tempo della pena. Ai tempi miei Firenze entro l'antica cinta delle mura viveva in pace, sobria e pudica. Non aveva adornamenti vani di catene, di diademi, di cinture, più vistose degli stessi pregi naturali della persona. Nè le figlie si maritavano allora anzi tempo, nè le doti erano smisurate. Le case non erano disertate dalle famiglie; l'effeminatezza e il. lusso non avevano contaminato il focolare domestico.
a La febbre edilizia non cercava di costruire quei grandi edifizi per l'abbellimento della città, che come oggi vince nella magnificenza, così un tempo sopraffarà tutti nella rovina.
a Più volte ho visto uomini ragguardevoli portar cinture di cuoio e d'osso e contentarsi di pelle senza panno, e donne insigni rinunciare ai fronzoli e ai belletti e accudire al fuso e al pennecchio. Certe della loro sepoltura senza pericolo d'esilio, esse vegliavano a studio delle culle, favoleggiando colle ancelle delle antiche tradizioni della patria. Una Cianghella e un Lapo Salterello sarebbero state per quei tempi una tal meraviglia come per i tempi odierni una Cornelia o un Cincinnato. Qui mi diè a luce mia madre; e fui battezzato col norrs di Crr-riago»*4' V- ^-vd '^ovanni.