La Guerra Italo-Austriaca 1915-1919 di Paolo Pallavicini
Intanto i nostri continuavano a svolgere rigidamente e con successi lenti, ma progressivi il piano d'offensiva ideato dal Comando Supremo, piano che mirava come abbiamo visto, ad occupare man mano tutte le formidabili vette dalle quali gli austriaci dominavano il territorio che era nelle nostre intenzioni di conquistare, vette che dovevano assolutamente essere in nostra mano se volevamo arrivare verso le vere frontiere austriache, se volevamo preparare la via alla liberazione di Trento e Trieste. Ardua, quasi impossibile impresa che i soldati italiani riuscivano gradatamente ad attuare a prezzi di grandi sacrifici e compiendo atti di audacia e di eroismo che sanno di leggenda.
Moltissime di queste fortezze naturali che per sopraggiunta l'opera dell'uomo aveva reso inespugnabili, avevano visto sventolare su di esse il tricolore italiano e Gorizia, la gloriosa, tragica Gorizia, una delle più potenti piazzeforti del mondo, la chiave dell'Isonzo, difesa con un accanimento che si giustifica colla sua eccezionale importanza, protetta dalle più perfette opere che l'arte fortificatoria potè immaginare, obiettivo massimo, pel momento, dello Stato Maggiore, era investita da più parti.
Così si giunse verso la fine dell'anno affermando subito col sangue migliore dei nostri figli che l'Italia anche con mezzi inadeguati all'enorme sforzo, era composta di un popolo che dal più umile al più alto cittadino sapeva fortemente, gloriosamente morire per il sacro principio della sua completa unità e della sua grandezza.
E a dimostrare una simile verità basterebbe il racconto di una sola delle epiche geste compiute da quelli che dovevano restare nella storia della nostra guerra col nome di Arditi o di Compagnia della morte, gruppi speciali di soldati, a cui abbiamo già accennato, che volontariamente si offrivano per compiere le imprese più pericolose dalle quali difficilmente si tornava.
La notte tra il 20 e il 21 ottobre, narrò un corrispondente di guerra, la nostra artiglieria gettò un uragano di granate sulla vetta boscosa del Iavorcek. Quella notte tutta la valle dell'Isonzo fino al mare era un inferno di tuoni e di baleni. Rombavano dai monti circa 3000 bocche d'artiglieria di tutti i calibri.
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