La Guerra Italo-Austriaca 1915-1919 di Paolo Pallavicini
ta. Pane elie una nuova giovinezza rinvigorisse le sue fibre, che un nuovo ardore lo trasfigurasse, che le capacità della sua resistenza fisica si moltiplicassero, e corse dovunque credette necessaria la sua presenza, la sua parola fervida, alata, spontanea, incitatrice. Ma la grand'anima candida non vide intorno a sè, o vedendoli non fu in grado di porvi riparo, i primi sintomi di una bufera che veniva addensandosi sul nostro cielo.
D'altra parte più che a lui ai suoi colleghi di governo e in specal modo al ministro dell'interno on. Orlando incombeva l'obbligo di una energica vigilanza e di una maggiore severità sulla propaganda disfattista che si stava facendo dai nemici esterni ed interni colla cooperazione di certi elementi socialisti che sin dai fatti di Torino, avvenuti sia pure per una cattiva organizzazione sulla distribuzione dei viveri, ma resi gravissimi dall'opera nefasta di chi li voleva sfruttare per altri scopi, avrebbero dovuto non solo fare aprire gli ocelli a chi spettava d'aprirli, ma spingere a immediati provvedimenti.
A Torino era avvenuta una vera e propria sommossa perchè la città era stata lasciata senza pane per qualche giorno. La violenza della rivolta fu tale che sorpassando i limiti di una protesta ed assumendo il carattere di un tentativo rivoluzionario, almeno così si credette, dovettero intervenire i soldati. Fu fatto uso delle armi e si ebbero a deplorare dei morti da ambo le parti. Altri fatti del genere, con minori conseguenze però, erano successi ad Alessandria e a Genova, ma il governo, forse per tema di suscitare malumori, disapprovazioni in certi gruppi parlamentari rappresentati nel suo seno da diversi ministri, pur proclamando zona di guerra le tre città dove i disordini erano avvenuti, confidò sul patriottismo del Paese, fece appello alla necessità della concordia e non eleminò le cause che questi gravi disordini avevano prodotto.
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Il 3 giugno celebrandosi la festa dello Statuto, il governo fece proclamare ad Argirocastro dal generale Giacinto Ferrerò, comandante del corpo italiano di spedizione. l'unità e l'indipendenza dell'Albania.
L'atto dell'Italia ebbe un'eco favorevole dovunque non solo per le benefiche conseguenze che ne sarebbero derivate alle contrade liberate, ma anche perchè esso era una dimostrazione pratica della lealtà del nostro
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