Storia della Grande Guerra d'Italia di Isidoro Reggio
I VEGGENTIderle così, al vento, per nulla, per l'ombra del pericolo. Più che dai cannoni e dai mortai e dai fucili, anche l'esercito della patria, quello vero e tangibile, sarà fatto forte dalla somma di queste coscienze che si saranno ritrovate e misurate e strette, senza enfasi, semplicemente, come davanti a una minaccia stringiamo il pu-gno...
« Noi soli, forse — concludeva Ugo Ojetti — fra le cosidette grandi Potenze, credevamo d'essere davvero in pace. E così a noi soli oggi sembra di non avere più uno scopo preciso per agire : uno scopo preciso, cioè, per vivere. Che cosa è una nazione senza scopo? E se alla vita d'un popolo manca uno scopo che superi l'oggi per un domani migliore, è questo popolo una nazione? La domanda, se non osiamo farcela noi, se la fanno già gli altri per noi, se la faranno apertamente e brutalmente i vincitori e i vinti, noi assenti, nel giorno della pace.
« — Aspettiamo, aspettiamo — dicono gli astuti, seduti comodamente nei caffè davanti a una granita che si liquefa. Aspettiamo per parlare : sta bene. Ma noi adesso aspettiamo addirittura di sapere dagli altri e dalle vicende degli altri quel che dobbiamo fare, peggio, quel che possiamo sperare.
« Nella lettera a Lamennais scriveva Giuseppe Mazzini : « Come può esistere dignità di uomini e popoli, dove la libertà porta sulla fronte il segno del benefizio altrui? »
Ben citate furono queste parole : e la citazione non andò perduta.
Lo stesso Ojetti constatava più tardi l'orientamento Jello spirito pubblico verso un più fermo e dignitoso indirizzo. Egli citava queste Darole, che furono scritte nel 1866:
« Da tutte le parti d'Italia i prefetti hanno comunicato al Governo il sentimento di umiliazione e d'abbattimento prodotto nelle popolazioni dalla notizia che la Venezia sarebbe ceduta all'Italia per mezzo della Francia, senza neppur parlare degli altri paesi i quali appar-
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