Storia della Grande Guerra d'Italia di Isidoro Reggio
IL MARE NOSTROalla conquista ottomana. Di ciò fu mosso rimprovero alla sua politica* E più avveduta parve quando, in trattati con gli zaratini, proibiva loro il matrimonio con slavi, che quando induceva le città italiche della riva adriatica orientale a lasciar i fuggiaschi stabilirsi fra loro in sempre maggior numero. Ma se Venezia beneficò gli slavi, non è lecito agli slavi parlare del loro predominio dall'Istria alla Dalmazia, poiché fino alla sua agonia, la Repubblica veneta, tenendo l'Adriatico come suo golfo, serbò, anche nelle maggiori disgrazie militari e politiche, l'unità italiana sull'Adriatico.
A chi sostiene che Venezia alimentò il fuoco della nostra vita nazionale, echeggiatori, anche nostri, di teorie austriache e jugoslave, oppongono l'egoismo della Dominante, tramutando così in duplice retorica la verità semplice e grande della storia veneziana. Non bisogna immaginare Venezia — acutamente nota Ettore Janni — con quella semplicità di spirito con cui taluno, in tempo d'enfasi patriottica, spiegava il veltro della Divina Commedia come una profezia dantesca annunziale Vittorio Emanuele II. La Serenissima non ebbe mai una sola favilla dello spirito di Giuseppe Mazzini o di Vincenzo Gioberti; non si sognò mai di compiere l'unità nazionale, anzi ritenne degno di essere combattuto ad oltranza un Visconti cui si attribuiva l'ambizione di porre tutta l'Italia sotto il proprio dominio. Ma questo non diminuisce in nulla la virtù di potenza e di difesa italiana nell'Adriatico e nella storia del mondo, che è lo spirito di Venezia da quando ella si andava sottraendo alla sovranità bizantina sino a quando gli ultimi suoi, nello sfacelo della Repubblica, deprecavano — invano — lo stolto delitto napoleonico di Leoben, l'abbandono cioè della Dalmazia, dell'Istria e del Veneto nelle avide mani, già da tempo tese, degli Absburgo.
Si ha ragione di dire che Venezia alimentò per molti secoli la fiamma da cui doveva sorgere la nuova fortuna d'Italia, perchè ogni forza nazionale, anche sola, anche in lotta (che i retori o gli storici pii chiamano scellerata, perchè il sentimento favorisce i più grossi a-
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