Storia della Grande Guerra d'Italia di Isidoro Reggio
IL POPOLO GUERRIERONella notte dal 9 al 10 luglio 1916, il battaglione Vicenza, del quale Battisti comandava una compagnia, salì all'attacco del Monte Corno. Salì da ponente ed iniziò l'azione verso l'una del mattino. La notte era serena, senza luna ma stellata, e nel chiarore sidereo la montagna gigantesca levava nitidamente i suoi profili imponenti. Il Battisti, pratico del terreno, conoscitore innamorato di ogni sentiero del suo Trentino, aveva avuto l'incarico di servire da guida con la sua compagnia (conosciuta alla fronte sotto il nome di « Compagnia Battisti ») ad un battaglione di fanteria che doveva attaccare alla sinistra.
La sorpresa, su cui si era contato, mancò. Quando gli alpini giunsero sull'insellatura fra le due punte, sui prati della Terrazza, il fuoco delle mitragliatrici e dei fucili radeva il terreno scoperto. I razzi illuminanti del nemico solcavano il cielo senza interruzione e ci si vedeva come in pieno giorno. Ad onta delle perdite, che da un momento all'altro si facevano più gravi, i nostri, con calma magnifica, continuarono imperterriti a svolgere la loro azione.
Ma la situazione andava facendosi sempre più pericolosa. Tutto il peso dell'azione gravava sugli avanzi eroici del battaglione Vicenza, attaccati disperatamente ai reticolati austriaci. Con le unghie e con le baionette i nostri erano riusciti a scavarsi qualche riparo per affondarvi la testa, ed aspettavano.
Un capitano, la cui compagnia aveva espugnato un'ora prima la vetta del Corno, alla luce dei razzi scorse vicino a sè un ufficiale ferito. Lo riconobbe; era il trentino Filzi, che doveva cadere anche lui nelle mani del nemico. Lo chiamò ma non ne ebbe risposta. Il frastuono delle mitragliatrici, le cui vampe parevano quasi sulle teste dei nostri, non permetteva di udirsi. Pòco dopo il capitano si sentì quasi stordire da un colpo alla testa : una scheggia di granata a mano gli aveva forato la sommità dell'elmetto. Dalle trincee il nemico lanciava granate a gas asfissiante.
Privi di maschere, gli alpini affondavano il volto nella terra molle. Per fortuna la brezza fresca dell'alba
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