Storia della Grande Guerra d'Italia di Isidoro Reggio
IL POPOI O GUERRIEROsquillano il motivo eroico e marziale, che ricorre nell'opera come un motivo dominante, quello che nella lontana sera del 27 gennaio 1849, in un altro grande teatro, l'Argentina di Roma, aveva acceso i cuori dei primi combattenti per l'unità e la grandezza d'Italia.
Dopo il primo atto s'apre il velario : e Gabriele d'Annunzio avanza, solo, lungo il proscenio. È in divisa grigia di tenente di cavalleria : sulle maniche, in alto, ha il distintivo dorato degli aviatori. Tiene nella destra un fascio di cartelle : il manoscritto delle preghiere che leggerà.
Un caldo, unanime, prolungato applauso lo accoglie. Quando lo scrosciante saluto del pubblico termina, egli, con la sua voce incisiva, pronunzia, come esordio, queste parole :
« In questa vecchia musica obliata che si rinnovella e s'aumenta nel nostro cuore commosso, abbiamo udito sonare il nome d'Italia, abbiamo udito celebrare il « sacro patto », Milano valorosa e operosa ricevere dal canto la lode di « magnanima », onde si mostra ancor degna, ella che oggi coi suoi figli migliori combatte non soltanto sul campo, ma nelle sue mura. E quel che fu, sembra tuttavia essere; l'errore del tempo sembra abolito, la nostra vita antica e nova sembra rifiammeggiare nell'ardore di una sola idealità, gli eventi sembrano ricondotti dalla potenza di un medesimo ritmo.
« Agitavano già queste melodie il petto di colui chediede una voce alle speranze e ai lutti,
quando si propagava per tutta l'Italia il fermento di Lombardia, e in gennaio, nél mese augurale che ci aduna, or è sessantotto anni, le vie di Milano erano battute dalla ferocia della soldataglia ubriaca, di quella che oggi così spesso leva le braccia ad arrendersi.
« Ecco che in quest'ora', per il miracolo della musica, si accendono d'uno stesso lume eroico nel nostro spirito. Luciano Manara che appicca il fuoco a Porta Tosa, e i Cavalieri della Morte che combattono intorno al Carroccio squillante, e i giovani battaglioni scagliati all'assalto del Carso, che li beve e « mai non si disseta ».
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