Lettere dalla Guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni
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cultura, Ferruccio serbņ ili tutta la breve vita un'ingenuitą e un candore di bambino. Bastava un nonnulla a distrarlo ; gioiva di ogni piccolo diletto ; anche, s'intende, dei diletti della gola; per un'inezia si metteva di buon umore e poteva prorompere in risate larghe e chiassose. In casa lo chiamavano il «terremoto». Ma se si rivolgeva al suo mondo interiore e prendeva a riflettere, lo assaliva una grande malinconia con un profondo malcontento di sč e della vita. Per quell'acutezza critica che fu la sua forza e insieme il suo tormento, rifuggente, com' era, da ogni transazione, e incapace di adattarsi agli uomini e alle circostanze, giudicava di sč e degli altri con una severitą sconsolata, condannando prima in sč e poi negli altri il manco di volontą, l'accidia, per cui il suo alto ideale di giustizia, d'ordine, di bontą non aveva attuazione, e il suo rigido senso del dovere non trovava sodisfazione nella vita. «Questa č la mia maledizione», scriveva in mia lettera ai genitori mentre si trovava col suo Reggimento nelle Giudicane, «questa č la «mia maledizione, che ho un ideale e un «gusto di vita, i quali tengo per i soli buoni «e dei quali debbo fare un dovere a ogni «uomo. Ma in nessun altro li ritrovo, ed «essi signoreggiano tuttavia per tal modo
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Lettere dalla Guerra
di Ferruccio ed Enrico Salvioni
Fratelli Treves Editori Milano 1918
pagine 258 |
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Pagina (22/271)
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Ferruccio Reggimento Giudicane
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