Lettere dalla Guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni
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l'arrosto, sino al panettone, e dalla mollezza delle seggiole, per la tavolata a ferro di cavallo, sino al candor delle tovaglie. — Perchè qui veniamo a qualche altro particolare del nostro Natale. E della nostra vita nelle Giudi-carie. E della nostra guerra. E del nostro talento nazionale. Il nostro Natale, ho sentenziato. è milanese di ricchezza gastronomica (ma no! a questo punto mi pento: ho io idea di quel che sia la ricchezza gastronomica di un Natale veramente milanese?): manca però di Milano, che per il cittadino della capitale morale è la dolcezza della vita. Ma le ragioni stesse della Aita, amici milanesi, ci pensate ?, le stesse ragioni della vita mancherebbero, se mancassero il tetto, la stufa, la tavola, la seggiola,, la tovaglia e la stoviglia. E mancano infatti — io penso ch'essi pensin esto pensiero — a quelli che fanno il Natale in avamposti: ai quali f. f. di ragion di vivere rimane l'attesa. (Del resto non a loro soltanto, non soltanto nel Natale di guerra, nè soltanto per la stufa e la seggiola!). Noi invece i nostri primi sei giorni di avamposti gli abbiam fatti in tempo per passar Natale sotto i tetti di Condino. Qui nelle capannucce delle piccole guardie vedremo (cioè vedrà chi sarà capace: io poi spero che neanche la guerra valga a romper per me la tradizione piena di simbolico significato di incominciare l'anno dormendo), ma, dico, nelle
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Lettere dalla Guerra
di Ferruccio ed Enrico Salvioni
Fratelli Treves Editori Milano 1918
pagine 258 |
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Pagina (102/271)
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