Lettere dalla Guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni
— 96 —
con copioso commercio epistolare; che mi rimane soltanto lo stretto dovere (poi che sono lontano non dico neanche in guerra) il dovere di dare il segno di vita. Dovrei stracciare la carta già scritta e mandare la cartolina illustrata con la firma. L'autografo che desse assicurazione dell'unico mio fatto memorabile, la continuazione della vita, ci sarebbe; di altro mostrerei di essere una buona volta persuaso che, come non è degno di farne discorso, discorso non so fare. Ma non mi so poi risolvere a buttar via ogni chiacchiera, poiché, queste le mie felici specialità! sono chiacchiere frutto di fatica. E, di nuovo, intanto il tempo passa.... E io mi abituo a poco a poco anche al pensiero che voi aspettate con qualche ansia il mio autografo.... E mi abituo poi a ricevere con calma e sangue freddo i segni vostri autografi di quest'ansia.... Giunto a questo punto, la rovina è intera. Non c'è più abisso che l'abisso possa invocare. Be', tronchiamo anche questa chiacchierata. Per quel ch'è delle chiacchiere per sè, non si sbaglia mai a smetterle. In quella lettera m'ero arrestato sulla soglia di un panegirico sulle mie virtù d'ufficiale. Doveva essere una risposta al papà che mi parla di servizio «che io compio certo con piena coscienza», alla mamma che mi raccomanda tuttavia di guardarmi da ogni distrazione, all'uno e all'altro che vi volete prendere spesso l'u-
| |
Lettere dalla Guerra
di Ferruccio ed Enrico Salvioni
Fratelli Treves Editori Milano 1918
pagine 258 |
|
Pagina (108/271)
|
|