Lettere dalla Guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni
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così da lupo; insomma crepo di salute. Vere malinconie (ma non malinconie, anzi, queste: dolore e peggio) soltanto tristezza di vicende della nostra guerra mi potrebbero dare. E la nostra guerra per intanto, e in particolare la mia, non ha vicende. Questa sarebbe, se mai, la malinconia. Ma vicende agitate oramai non possono tardare. Pare che non tarderanno neanche tra noi. E il nostro assetto difensivo qui (un dedalo di trincee, di camminamenti, di passaggi, di appostamenti, di sbarramenti) non mi pare sconfortante, specialmente se si paragoni a quello che due mesi e mezzo or sono avevamo trovato nel settore della Peumizza (e che ora deve essere anch'esso migliorato d'assai); e confortante per questo verso è quello stesso sovraccarico di fatiche, che sconforta un poco per la poca ragionevolezza de' suoi metodi e per la trascuratezza passata di cui è prova con l'eccitato lavoro di oggi. Bene, voglia il Signore che il giorno di lasciare le «cor-vées » per la guerra combattuta, la pioggia d'acqua per la pioggia di pallottole, gli strappi dei pantaloni nella costruzion di reticolati per gli strappi, se così è voluto, della carne nella loro distruzione, che questo giorno venga presto. Che venga presto il giorno del mio battesimo di fuoco. Il quale al resto del mio battaglione è già toccato quando nei giorni 27 e 28 di marzo ha avuto la parte maggiore nel riprendere
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Lettere dalla Guerra
di Ferruccio ed Enrico Salvioni
Fratelli Treves Editori Milano 1918
pagine 258 |
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Pagina (184/271)
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Peumizza
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