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Il brigante Crocco e la sua autobiografia

Basilide Del Zio
Tipografia G. Grieco| 1903| pagine 113

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   colpi sparpagliati ed interrotti| e poi si vede gente che si disperde| fugge o si nasconde. E gente che insegue| spara| ed arresta; si odono grida di strazio| di morte e di feriti| e poi gridi di vittoria| di gioia e di entusiasmo. La rivoluzione trionfa| onore ai prodi| gloria ai martiri della libertà»2.
   E fra gl'insorti vi era Crocco coi suoi compagni| sperando così di farsi perdonare le passate colpe. Ed il Crocco| il Mastronardi| il Ninco-Nanco| ed altri sette masnadieri| avevano avuto dal Governo insurrezionale cavalli ed armi| quelle armi che poscia portarono la strage e il fuoco nella povera Venosa ed in cento altre terre vicine3.
   E realmente| il colonnello Camillo Boldoni| o per prudenza| o per necessità| aveva dato loro promessa della libertà e del perdono. Infatti il Crocco fu messo a servizio del sotto-prefetto di Melfi| signor Decio Lordi| e come risulta dalle testimonianze del professor Luigi Rubino e canonico Giuseppe Bergamasco: «egli| il Crocco| si mostrava con entusiasmo attaccato al nazionale risorgimento| ed adempiva con zelo ed esattezza gli ordini superiori nel servizio che gli si affidava per le perlustrazioni| che in quel tempo| sia di giorno| che di notte| di continuo facevansi nell'interesse della sicurezza pubblica| affine di prevenire l'aggressione e le marce della colonna Fiore| che aggiravasi verso i piani di Cerignola»4.
   E con tali servizi| a disposizione della Giunta insurrezionale del Melfese e del sotto-prefetto| il Crocco rimase in Melfi per circa due mesi| non molestato da alcuno| anzi protetto dalle autorità che si servivano del suo coraggio e della sua forza in ogni ricorrenza.
   Ma questa tranquillità del Crocco doveva durare ben poco| ed infatti il Procuratore generale di Potenza| in data 5 settembre 1860| dava ordine al giudice di Barile di istruire contro Carmine Crocco Donatelli| per sequestro e ricatto del signor Michele Anastasia di Ripacandida| da lui commessi e dai suoi compagni il 14 luglio 1860.
   E quel giudice| a nome Francesco Paolo Bonfanti| meravigliandosi dell'ordine ricevuto| prima di metterlo in esecuzione| credè opportuno far notare al Procuratore generale| come il
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