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Io brigante

Carmine Crocco Donatelli
Tipografia G. Grieco, 1903, pagine 98

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   L'autorità municipale sedeva in permanenza, onde, quando entrai nel palazzo del comune, trovai i consiglieri al loro posto.
   Ordinai mi fossero consegnati il molo della guardia nazionale, i fucili e le munizioni dei militi, cassa del comune e quella della fondiaria.
   Mi si rispose che facessi terminare le stragi e l'incendio, e sarei esaudito. Così fu fatto.
   Ricordando quella famosa giornata io mi domando ancora dove quei poveri cittadini avevano potuto apprendere l'arte della guerra, da esplicare tanta resistenza e tener fronte, in numero di circa 300, per diverse ore a 1000 e più uomini giovani, sitibondi di piaceri e di bottino.
   Quei prodi non avevano preso parte mai né a piccole né a grosse manovre, anzi la ferocia del governo borbonico proibiva loro di portar il fucile, e per aver il porto d'armi bisognava pagare 5 scudi.
   Oh, perché il Borbone non seppe utilizzare tanto valore e tanto eroismo così spontaneo, nei figli di questa forte regione, cosicché il potente esercito borbonico fu messo in fuga da un pugno di giovanotti e questi furono chiamati eroi, e vili quelli? La verità di quelle facili vittorie, la causa delle fughe, il facile sbandarsi... e chi noi sa!
   Bisognava vedere un quartiere militare borbonico che cosa era$ ed io lo vidi e lo conobbi. Ho visto quante infamie si commettevano, e la frusta, il bastone e le fucilazioni sommarie, e le punizioni tremende, di guisachè in noi soldati prevaleva il concetto: «Questo regno è tuo e de' tuoi sbirri, difendili da te e con i tuoi, non io morirò per la gloria tua e per conservare sul tuo capo la corona».
   Ma qualcuno mi dirà, e con ragione, come mai tu che conoscevi le infamie del Borbone, dopo la caduta di questi, ti sei rimescolato nel fango ed hai messo tu ed i tuoi compagni alla mercè d'una causa, che aveva destato in te tanto orrore.
   Non si parli di me, io allora mi ero già macchiato le mani di sangue, la mia persona era cercata, lottavo per vivere, ero il serpente ricordato dalla povera mia madre, morta pazza nel manicomio di Aversa.