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Io brigante

Carmine Crocco Donatelli
Tipografia G. Grieco, 1903, pagine 98

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   ciapelo- Colpito in pieno petto ebbe campo di volgersi contro di me e lanciarmi un tremendo colpo di baionetta, che per caso colpì in mia vece il cavallo. Poco dopo quel valoroso spirò.
   Scopo mio era di attrarre gradatamente la truppa sotto il tiro dei miei compagni appostati alla palafitta, onde la ritirata e le fughe avevano una direzione costante. Il battaglione di guardia nazionale che ci aveva sempre inseguiti con ammirevole lena, andò a dar di cozzo contro i compagni appostati e venne accolto da una terribile scarica. In breve la strada fu coperta di cadaveri e feriti; i soldati non potendo muovere all'assalto, essendo impossibile superare le ripide sponde del torrentaccio, oltre il quale i miei erano in posizione, fu giuocoforza rispondere col fuoco al fuoco nostro. Ed infatti durò per un po' di tempo Faziose, poi i cittadini armati si ritirarono dirigendosi verso le truppe refrostanti che venivano avanzando sulla nostra destra.
   Io coi miei stanchi compagni, con 19 prigionieri, entrammo nella piccola fortezza ove trovai tutto nel massimo ordine. Gli amici invidiavano la sorte a noi toccata e si lamentavano di quella loro lunga attesa, contraria alle abitudini loro. Tranquillizzai tutti assicurandoli che fra non molto sarebbe venuta anche per essi l'occasione di muover le mani. «Non dubitate dissi loro, poiché fra poco sarete più fortunati di noi. Guardate come il Comandante nemico se ne viene a noi cheto, cheto, come il irrita che recita il rosario. Chi sa cosa rumina pel capo quel vecchio avanzo di Crimea. Sapete cosa mi fa tremare? E il sangue freddo, è la flemma di quell'uomo. Oh come lo vorrei vincere, non tanto pel piacere di far scorrere dell'altro sangue, quando per dimostrare e fargli toccar con mano come nelle Provincie del nostro disgraziato paese, vi sono uomini che valgono tanto per quanto valgono gli altri uomini della terra; per insegnare a cotesta gentaglia piemontese, che con motti arguti ci chiamano: «testoni, codardi, cafoni, rozzi, ignoranti e bigotti», come anche noi abbiamo del fegato e del cuore!».
   Ciò detto volli render conto della situazione e soggiunsi: «Abbiamo avuti due morti, un prigioniero, sette feriti e ventun Avalli messi fuori di combattimento. A nostra volta abbiamo sequestrati venti soldati, settantacinque fucili e parecchie muni-
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