nostro desco duecento pecore, un migliaio di polli, due botti di vino, il tutto tolto, in massima parte, dalla masseria del capitano Giannini di S. Fele.
Per la paga, i capi hanno una percentuale sulle taglie e sui ricatti, i gregari un tanto al giorno, gli avventizi cinque scudi per cadauno all'atto che sono licenziati.
Ed ora che ho divagato abbastanza con descrizioni noiose e superflue, torno alle mie gesta, agli atti briganteschi da me compiuti dall'agosto 1861 al cader dell'anno stesso.
Dalla forte posizione di Toppacivita, dopo gli scontri avuti, io non mi ero mosso, anzi avevo ordinato di meglio rafforzare quella palizzata-ricovero, per essere in grado di resistere a nuovi attacchi, mentre numerosi zappatori erano intenti ad abbattere i pali telegrafici e tagliare i fili per interrompere le comunicazio-
II Comandante delle forze piemontesi residenti in Rionero misurata la forza della mia banda in confronto dei suoi magri battaglioni, non seppe far altro che chiedere rinforzi, ed in attesa del loro arrivo ci lasciò tranquilli.
Le campagne, non a torto terrorizzate dalle carneficine della mia banda, erano spopolate, le strade erano deserte, vuote le masserie campestri. Rigorosi bandi militari, imponevano a tutti i cittadini, pena la fucilazione, di non uscir dai paesi dopo l'Ave Maria della sera, di guisachè regnava ovunque uno squallore profondo, un senso di tristezza e di desolazione.
Tale condizione eccezionale di cose nuoceva indirettamente alla mia banda, perché veniva a mancare, come si suol dire, la merce al mercato, per cui decisi abbandonare la macchia di Toppacivita e di trovar mezzo all'esistenza, piombando inaspettato sui piccoli paesetti sguarniti di milizie cittadine e di truppe regolari.
Occupai Rapone constringendo le popolazioni a versare forti contributi in denaro ed alimenti, taglieggiai i signori di San Fele imponendo ricatti e gravezze, e dopo di aver gravato di taglie diverse persone di Atella, colla banda ridotta a mille uomini circa, entrai nella boscaglia di Lagopesole.
co