Capitolo Quinto Con Borjés
Vivevo aggredendo, taglieggiando, uccidendo di tanto in tanto, quando da un pastore di Tricarico ricevetti un biglietto del brigante Serravalle in cui mi si chiedeva appuntamento nella masseria Carriera.
Fu qui, nell'ottobre del 1861, ch'io conobbi il Borjés generale spagnuolo venuto per ordine di Francesco II a tentare di sollevare i popoli delle Due Sicilie.
Quell'uomo forestiero che veniva da noi per arruolare proseliti e reclamava in conseguenza l'ausilio della mia banda, destò sin dal primo momento nell'animo mio una forte antipatia poiché compresi subito che a petto suo dovevo spogliarmi del grado di generale comandante la mia banda, per indossare quello di sottoposto.
Egli, un povero illuso venuto dal suo lontano paese per assumere il comando di un'armata, aveva creduto trovar ovunque popoli insorti, e dopo un primo colossale fiasco dalla Calabria alla Basilicata, voleva convincere me ed i miei che non sarebbe stato difficile provocare una vera insurrezione, dato il numero della mia banda, l'ottimo elemento che la costruiva, le buone armi e gli eccellenti cavalli.
L'esperienza, maestra della vita, mi consigliava a non far appoggio sull'aiuto dei reazionari, se non volevo ripetere un'altra fuga come quella di Melfi; però era d'incitamento per noi, a non rifiutare il chiesto aiuto, il pensiero che guidati da un esperto uomo di guerra, avremmo potuto aver ragione sulla forza, conquistare paesi e città, ove non sarebbe stato difficile arricchire col saccheggio e coi ricatti.
Il Serravalle insisteva perché la domanda del Borjés venisse accolta incondizionatamente, ma tanto io quanto i miei eravamo titubanti, anzi propensi a rifiutare, male assoggettandoci a discipline militari abituati a vita libera, e quello che più importava al 'ibero ladroneggio.