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Io brigante

Carmine Crocco Donatelli
Tipografia G. Grieco, 1903, pagine 98

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   vamo vittoriosi oltre Taverna Capo Rotondo, tolse a quei miseri, ogni desiderio di festa, ogni pensiero di lotta, e mentre la truppa continuava la ritirata su S. Mauro Forte, essi, fatto in fretta e furia un fascio del loro meglio di casa (denari, gioielli, vestiti) colle mogli, coi figli, per la rotabile che conduce a S. Mauro s'incamminarono sotto la protezione della truppa.
   Questa massa abbastanza considerevole di persone (in Stigliano erano rimasti i poverelli) camminava a piedi del polveroso stradone e formava direi quasi l'avanguardia, poiché dietro venivano i militi della guardia mobile ed in ultimo i superstiti delle compagnie del 62° fanteria, come a protezione estrema contro l'audacia brigantesca.
   Certo che il nome mio doveva essere ben noto in quei paesi e più che il nome le mie gesta, quale generale d'una banda di duemila armati con 300 cavalieri, per incutere tanto spavento nelle popolazioni. Concorrevano ad aumentare la paura le esege-rate asserzioni di atti ferocissimi da noi compiuti. Non nego che il Coppa, il Ninco-Nanco, il Caruso stesso, abbiano qualche volta commessi atti feroci sui feriti, e qualche altra fatto scempio dei cadaveri dei caduti, ma nego che da me non sia mai dato ricovero ad alcuno, e che vigesse in conseguenza l'ordine di uccidere borghesi, ufficiali, soldati che cadevano nelle mie mani.
   Padrone di un paese imponevo ai ricchi onerose taglie indispensabili pel vettovagliamento dei miei uomini, né pretendevo di più; non avevo per altro tanta autorità sui numerosissimi compagni da imporre ad ognuno il rispetto della proprietà e della famiglia, onde più d'una volta è successo che i signori dopo di aver dato a me la metà dei loro averi, dovettero dare l'altra metà ai sottocapi, e vedersi per di più violate le donne senza poter reagire pena la vita.
   Questa era quindi la causa vera per cui noi eravamo temuti quali flagelli di Dio, e fu la ragione unica che indusse i signori di Stigliano a cercare la salvezza loro nella fuga. Camminavano, come già dissi, tutte quelle persone sulla strada che da Stigliano conduce a S. Mauro, protetti dalle truppe, quando ad un tratto s'incontrarono inaspettatamente con 100 de' miei cavalieri che rientravano in paese dopo un lungo servizio di esplorazione.
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