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Io brigante

Carmine Crocco Donatelli
Tipografia G. Grieco, 1903, pagine 98

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Capitolo Settimo La fuga e la prigionia
   Fra i codardi che ci abbandonarono per presentarsi alle Autorità, il più vile fu certamente Giuseppe Caruso. Questo scellerato Caino, dopo di aver consumato il fratricidio si presentava, con altri suoi perfidi compagni, e dopo pochi mesi veniva liberato dal Governo. Quindi alla testa della truppa incominciò la caccia dei suoi compagni, e in pochi mesi rese al governo quel servizio che non ebbe mai dal poderoso esercito.
   Caruso il vile assassino di Pio Masiello, contribuì all'uccisione dell'unico fratello suo, e quel sangue grida ancor oggi vendetta contro di lui, ora libero ed impiegato regio, dopo di aver sulla coscienza 124 omicidi, fatti nel corso di quattro anni di sua carriera brigantesca.
   Ma doveva essere così; le sante parole del parroco Leonardo Cecere dovevano avverarsi «i tristi uccidono i tristi» però quel vile mercenario, quell'anima venduta, non ebbe il piacere di vedermi preso per opera sua, e deve all'infamia della Curia Romana, la fortuna di aver potuto assistere, da libero cittadino, alla mia condanna capitale. Iddio è giusto, ed io nell'altro mondo farò di lui, quello che fece Ugolino dell'arcivescovo Ruggeri.
   Caruso divenuto il consigliere del generale Pallavicini spiegò come doveva essere fatta la guerra brigantesca; egli conoscitore intimo dei nostri più reconditi ricoveri, delle abitudini nostre, dei confidenti, dei manutengoli, postosi a capo della truppa contribuì alla nostra dissoluzione.
   Fu per suo consiglio che si istituirono i cosiddetti posti militari collocati agli sbocchi e nelle vie tra un bosco all'altro, e che fummo di poi attaccati ne' nostri sicuri nascondigli dalle truppe poste a' suoi ordini.
   Ma la sua sagacia, la sua fine astuzia, il livore del nero animo suo, non ebbero frutto contro di me, ch'io potei sempre sfuggire al suo accanito inseguimento.
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