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Io brigante

Carmine Crocco Donatelli
Tipografia G. Grieco, 1903, pagine 98

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Sapete perché non fui consegnato al governo italiano? Perché consegnando me dovevano consegnare la somma di lire 19.800 che io avevo indosso all'atto dell'arresto, e questa somma che non fu data a me come non fu data al governo, come di dritto, finì nelle tasche di qualche monsignore ladrone.
   Finalmente verso la fine di settembre 1870 giunse a Paliano un battaglione del R. Esercito italiano. Alcuni ufficiali memori delle mie gesta, altri che mi avevano combattuto nel 1861-62, vennero a visitarmi nella cella di rigore, e forse mercè loro mi si tolsero le catene ed ebbi il permesso di prendere aria.
   Il generale Lanzavecchia mi fece togliere dalla cella di rigore passandomi in altra cella spaziosa e piena di luce ove ebbi consegnato un letto da infermeria, vitto da ammalato, ma abbondante, e di allora in poi fui trattato con mille riguardi, che la bontà umana suole somministrare a quei sciagurati che sono alla vigilia d'una pena capitale.
   Fu in quei giorni ch'io piangevo sempre; piangevo non per paura della morte, unico rimedio al mio soffrire, ma bensì per gratitudine e piango ancora adesso che scrivo, per le tante misericordie avute da coloro che io uccidevo come nemici.
   Restai a Paliano sino al giorno 23 giugno 1871; la sera di questo giorno arrivai a Caserta. Quivi una folla di curiosi aspettava alla stazione per ammirare il famoso generale dei briganti; nella prigione, in attesa di proseguir il viaggio, ebbi l'alto onore di ricevere le visite di molti signori, mossi dalla curiosità di conoscere di persona, questa belva feroce che si chiamava Crocco.
   Da Caserta passai ad Avellino sempre scortato dalla benemerita e trattato cristianamente dai bravi carabinieri.
   Nelle carceri di Avellino stetti rinchiuso tredici mesi ove subii continui interrogatori con un giudice istruttore che mi sembrava il messia della giurisprudenza. Ogni giorno passavamo in rassegna due o tre voluminosi processi, esaminando ad una ad una le imputazioni, verificando le date, i luoghi e le persone.
   Con mio rammarico lasciai il carcere di Avellino ed il 27 luglio 1872, scortato da un maresciallo e da quattro carabinieri, arrivai a Potenza. Quivi non trovai curiosi, ma bensì minacciosi figli di quella plebaglia che io avevo comandato.
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