Storia arcana ed aneddotica d'Italia di Fabio Mutinelli
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Salitila lo poi nel Collegio nostro, el espose quanto vedrete dalla in-
(Juiiuli il Gl'itti, nella seguente ottava, a ragione chiamata infume dal Tommaseo ( Seri/li di Gasparo Gozzi, Voi. I. — Hrenze. Le Mounier I8VJ), non si vergognava di dire:
Sono un povero ladro aristocratico Errante per la veneta palude, Glie per aver un misero panatico Il cervello mi stempro in sull' incude. In pie mi slombo, e nel seder mi snatico, Ballottando la fameBla virtude. Prego, ni' arrabbio, mi compiango, adulo Ed ho me stesso e la mia patria in .
Angelo Maria, di Francesco, Labia che aveva invece la povera sua patria in cuore, e « celebre nello scrivere poesie nel veneziano dialetto che esistono » manoscritte » (Mose/tini della Letteratura Veneziana del secolo XV III, Tomo 11, p. 154, No/a ) dicevaMo parlo da chietin, nò da ribelo, Parlo da citadin appassiona Per veder che da qualche tempo in qui La povera mia patria va in sfraselo.
Mi 110 dirò de questo nè de quelo, Ma ve prego d' usarme carità Se qualche volta andasse troppo in là» Perchè anca el gran dolor tol el cervelo.
Per liherarme da la sogezionIlo pensa de parlar nel mio dialeto Per dar cussi più forza a 1' espression.
Glie no glie voi nè Crusca, nè Fiorelo A un citadin che in dir la so opinion Altro no ga che Dio e san Marco in peto.
Gita che dal to nascer ti xe stada Asilo e sede de la lleligion, li per questo da tute le nazion Ti feri heuedia e rispetada;
Ti che da Dio ti geli destiuada Tel a promessa e vaso d'elezion. K sili a la linai consumazion Ti geri ili la so mente preservada ;
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