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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Milano
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1894, pagine 547

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Monza
   497
   di San Giovanni Battista, tra cui il reliquario e la Croce del regno, più sopra descritti (v. pag. 470), depongono a favore di questa ipotesi, poiché è appunto in occasione di cerimonie importanti, come la incoronazione, che i principi facevano doni di corone ed altri oggetti di gran pregio alla chiesa dove venivano alla loro volta consacrati.
   Uno dei primi atti di Berengario I, quando ehbe assunta, oltre del manto regale, anche la porpora imperiale, causa dell'ultima sua rovina, fn un diploma datato da Corte Olona sul Pavese a favore della basilica monzese, alla quale confermava ed accresceva tutti i privilegi che i suoi predecessori avevanle accordato. Altri privilegi Berengario concesse a Monza, quali d'avere pesi e misure proprie e la libbra di 30 onciel il diritto d'incamerare a benefìcio della città le confische per i delitti capitali; il diritto di adottare era ad indizione propria negli stronfienti od atti notarili; immunità e privilegi speciali a pressoché tutte le chiese in Monza esistenti.
   Un documento del 051 qualifica Monza per castello; Ottone III, che vi prende nel 005 la corona regale d'Italia, dichiara Monza nientemeno che città imperiale, capo della Lombardia e sede speciale del governo — ciò in dispetto di Milano, non troppo tenera per l'imperatore straniero, e di Pavia, ove preparavansi gli eventi alla proclamazione di un nuovo re nazionale, nella persona del marchese d'Ivrea, Arduino.
   Federico Barbarossa, sempre in odio a Milano, largheggiò più di ogni altro verso Monza. Nel 115S dimorò quivi per vari giorni trattando le contese dei contadi del Seprio e della Martesana. Roderico di Frisinga vuole che in tale occasione Federico Barbarossa abbia cìnta la Corona di Ferro nella basìlica di San Giovanni: ma è opinione contestata. Ciò che è certo, si è che egli ritornò la Chiesa monzese alla primitiva indipendenza, goduta fin dal tempo di Teodolinda, sottraendola dalla giurisdizione che i Milanesi se n'erano arrogata; e fece, a proprie spese — secondo quanto riferiscono sir Raul e Ottone Morena — riparare il castello di Monza, danneggiato dal tempo e dalle precedenti guerre.
   Durante il lungo periodo dell'impero di Federico II e più particolarmente al tempo delle sue guerre in Lombardia, Monza parteggiò per questi, senza trarne però qualcuno di quei vantaggi che da altri re ed imperatori aveva saputo, nel proprio interesse avere. Federico II non volle e non trovò opportunità di farsi incoronare re d'Italia in Monza, ben sapendo che il cinger quella corona non gli avrebbe dato nessun maggior prestigio nell'aspra contesa da lui sostenuta colla Curia Romana, e premendogli, pili che la corona di Lombardia, quella di Sicilia, che sua madre Costanza Normanna gli aveva portato e lasciato in retaggio.
   Ciò indispose i Monzesi, che anche per sfuggire l'interdetto dal quale i partitanti di Federico II erano colpiti, ne abbandonarono la causa. Ne profittarono allora i Milanesi, i quali, per la sostenuta guerra, trovandosi (1242) in grande bisogno di danaro cogli uffici del loro podestà Lodovico Grimaldo e dell'arcivescovo, fra Leone da Perego, ottennero il 17 giugno 1242 dall'arciprete di Monza Alberico da Opreno di impegnare parte del tesoro di Monza presso l'abbate di Chiaravalle, fino alla prossima futura festa di Sant'Andrea onde trarne denaro < per una grandissima utilità del Comune di Milano >. All'epoca della restituzione, verificandosi — un po' troppo tardi — gli oggetti restituiti, si constatò la mancanza di un prezioso calice d'oro massiccio, detto Magno, del quale non si ebbero più notizie.
   Poco stante, per la nuova guerra intrapresa da Federico II in Lombardia, Milano trovandosi di nuovo in urgente bisogno di danaro, fece viva istanza all'arciprete Orde-rico da Soresina ed ai canonici del Capitolo monzese, per avere in prestito altra parte del tesoro, affine di potersi procacciare danaro, che in nessun altro modo al Comune riesciva di trovare. Dopo molte riluttanze, perchè memori della passata disgrazia, l'arciprete ed il Capitolo consentirono, prestando gratuitamente al Comune dì Milano, ma colle clausole più severe, un grosso calice d'oro massiccio del peso di onde 107,
   03 — La l' i (ria, voi. II.