Monza
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cui quella del capitano generale, Gastone de' Gastoni, morto di malattia presa in quell'assedio e sepolto in Monza nella chiesa di San Francesco. Gli fu successore, per poco tempo però, Guglielmo diByron, da Buonincontro Morigia qualificato per uomo pessimo.
Non potendo più continuare nell'assedio, il 25 luglio i Guelfi abbandonarono i posti e ritornarono in Monza; del che incoraggiati i Milanesi fecero una scorreria fino a questa città e la tennero per alcun tempo assediata. In siffatte alternative passò il rimanente dell'annata senza che la vittoria si decidesse o per una parte o per l'altra. Nel principio dell'anno susseguente 1 Ghibellini, guidati da Marco Visconti, inflissero ai Guelfi — comandati da Passerino Della Torre succeduto m quel torno a Guglielmo di Byron — una vigorosa sconfitta nelle vicinanze di Albiate. Bidottisi i Guelfi, con una disastrosa ritirata in Monza, per rappresaglia \ì commisero ogni sorta di violenze e ne esigiiarono tutti i Ghibellini, fra i quali il Morigia annovera pure il vecchio suo padre.
Pel valore di Marco continuò, nel li!24, la fortuna dei Visconti, che colla vittoria di Vaprio ridussero a mal partito ì Guelfi, costretti orinai a rafforzarsi ni Monza come unico rifugio che loro restasse. La battaglia di Vaprio, sull'esito della quale auspicarono in un senso o nell'altro i due eserciti nemici, vedendo, maitre stavano per azzuffarsi, un'innumerevole quantità di cornacchie attraversare il cielo, quasi fuggenti da Milano, fu celebrata dai Ghibellini come un miracolo della volontà divina, stanca dì quella guerra da troppo tempo straziante la Lombardia, Lo affermò Buonincontro Morigia dicendo, che le truppe raccogliticcie dei Guelfi « non erano venute per acquistar gloria
< alla Chiesa romana, ma erano venute in Lombardia per rubare, per ispogliare, e
< per compiere tutti i sopra descritti mali, poiché ciò fecero quando poterono, in
< Monza e nel contado di Milano ».
Dei capitani guelfi il generalissimo Raimondo da Cordova fu fatto prigione, Simone della Torre rimase ucciso, Enrico di Fiandra si salvò fuggendo pedestre ili Monza.
Marco avrebbe voluto, prima che ai crocesegnati giungessero gli altri aiuti loro promessi dal Legato pontificio, volare su Monza, prenderla di sorpresa e rafforzarvisi. Ma, come narra il Verri, Galeazzo, che già si sentiva crescere l'invidia verso il fratello, non volle aderire a tale progetto. Così poterono giungere in Monza altri rinforzi e la città, sotto il coniando di Enrico di Fiandra, prepararsi alla resistenza.
Non essendo più possibile ai Milanesi di prendere Monza per sorpresa pensarono d'averla per la forza, onde la bloccarono di rigoroso assedio, fabbricandovi intorno torri e terrapieni. L'assedio durò otto mesi. Stremati dalla fame e disperando d'ogni soccorso dal di fuori, fallita una sortita che avevano tentata per vettovagliarsi, sotto il comando di Verginio Land! e Mermetto da Verdun savoiardo — nella quale SOO militi e 1500 fanti furono battuti e ricacciati in città con gravi perdite da forze assai minori condotte da Marco Visconti — i Guelfi, sentendo di dovere lasciare la città, si abbandonarono su di essa alle più crudeli rappresaglie. < Si faceva strage — scrive lìuo-
< nincontro Morigia — di giovani, di vecchi, di fanciulli; rubavano, spogliavano, atter-
< ravano case, incendiavano. Maschi e femmine, adulti e fanciulli legati erano condotti
< nelle loro carceri colla fune e con ogni tormento, senza misericordia, li affliggevano;
< e non vi fu chi li redìmesse dalle loro mani. Non permettevano che si avesse pane
< dì forno, non pentola, non paiuolo con cibi da cucina, volendo rapire senza lancia
< e senza scudo. Ma neppure tali cose bastarono. Ardirono di entrare nel tempio
< situato in Monza, il più santo di tutta Italia. Molti chierici e laici milanesi e mon-
< zesi, traditori e desolatoli della patria, anche col consenso del Legato, il quale bramò
< d'essere distruttore della patria Milano, con mani scellerate pigliando i preziosi sacri
< vasi d'oro ed altri moltissimi donarj fregiati di pietre e gemme preziose e di san-
< rissime reliquie che dai sommi pontefici, dagli imperatori e dai re longobardi e
< dalle città erano stati posti ad ornamento e gloria di quel santo tempio, inde-
< guarnente maneggiavano e contaminavano. E così avvenne di quei giorni grande.