Stai consultando: 'La Patria. Geografia dell'Italia Provincia di Milano', Gustavo Strafforello

   

Pagina (514/548)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (514/548)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Milano
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1894, pagine 547

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Monza
   503
   Galeazzo — lo costrinse a deporre nelle sue mani la signoria, il che avvenne il 5 luglio dello stesso anno.
   Ottenuto questo il Bavaro mandò a .Monza un suo fidato, Giovanni di Reizacli, tedesco, Marco Visconti, Pagano da Mandello e Ramengo da Casale ad impossessarsi della fortezza. Trovarono inaspettata fierissima resistenza nel castellano Tancredi Scarile, il quale dichiarò che non avrebbe dato il castello se non per ordine scritto del suo signore, Galeazzo I. Saputa questa risposta Lodovico ordinò al maresciallo dello Impero di arrestare Galeazzo ed Azzone suo figlio, nonché Giovanni e Luchino, fratelli ili lui, intimando a Galeazzo la resa del castello, pena la testa, entro tre giorni. Ma il castellano, al quale in altro tempo Galeazzo aveva imposto di non cedere il castello a chicchessia, se non andava egli stesso ad imporglielo, non volle riconoscere nò ambasciate, nè ordini scritti. Stavano per scadere i tre giorni, quando si risolsero ad andare a Monza Beatrice d'Este, moglie di Galeazzo e Ricciarda sua figlia, che con lagrime e scongiuri riescirono ad indurre il castellano alla resa, quando cioè si fu ben persuaso ch'egli persistendo nel rifiuto metteva in giuoco la vita del suo signore.
   Sullo scorcio dello stesso mese Lodovico il Bavaro, temendo che i Visconti gli potessero suscitare imbarazzi e contrarietà alla politica, fece chiudere nei forni di Monza Galeazzo, Giovanni, Luchino ed Azzone Visconti, mettendovi a guardia, con buon presidio di Tedeschi, il suo fido Giovanni di Reizacli. E furono essi i primi a provare le orribili prigioni. Marco Visconti, che colle sue ambizioni era stato causa della rovina dei fratelli, in sospetto dello stesso Bavaro, ed avversato dai Ghibellini lombardi, riparò a Lucca presso il valoroso Castruccio Castracani degli Antelminelli, signore di Lucca e capo dei Ghibellini toscani, sollecitandolo ad interporre i suoi uffici presso l'imperatore onde rilasciasse liberi i suoi parenti. Lodovico di Baviera, il quale più che ad altro mirava solo ad accumulare danaro, sentendosi, per la sua cupidigia e slealtà, inviso agli Italiani, temendo anche d'inimicarsi il Castruccio e gli altri capi ghibellini, ordinò la liberazione dei prigionieri, otto mesi dopo la loro detenzione, il 25 marzo 1328. I Monzesi, impietositi del caso, fecero grandi feste ai liberati e li sovvenirono di scorte e di quanto poterono abbisognare per il viaggio che intrapresero a Lucca, onde ringraziarvi Castruccio e pacificarsi coH'imperatore scorrente in quel torno la Toscana. Pochi giorni dopo il suo arrivo in Lucca, Galeazzo mori pei mali e l'esaurimento cagionatigli dalla lunga prigionia.
   Sborsando 60,000 fiorini d'oro a Lodovico il Bavaro, sempre avido e sempre a corto di danaro, Azzone potè essere nominato vicario imperiale in Lombardia e far nominare dall'antipapa Nicolò V suo zio Giovanni cardinale legato, in luogo di Bertrando del Poggetto, dichiarato decaduto. In tal modo i Visconti speravano di poter riprendere le redini del comando in Lombardia e rifarsi dei passati affanni ; ina trovarono viva resistenza da coloro che il Bavaro aveva lasciato in Lombardia a rappresentarlo, capitanati da Guglielmo di Monteforte, presidente del Consiglio, clic reggeva lo Stato, il quale negò ài Visconti l'ingresso in Milano. Così Azzone e Giovanni dovettero ritornarsene in Monza, in attesa di chiarire e definire — magari impugnando le armi — il piato coH'imperatore, che stava per intraprendere il suo viaggio di ritorno in Lombardia.
   All'avvicinarsi dell'imperatore, che si faceva precedere da minacci! ed affermazioni di sovranità assoluta, i Monzesi stettero un po' in forse se dovessero seguire la nuova fortuna dei Visconti, o mantenersi fedeli all'imperatore a scanso dei mali, di cui serbavano ricordo nelle guerre precedenti, ai tempi di Galeazzo, d'una nuova guerra. Ma, sebbene Paolo Aliprandi ed il podestà Lassano Crivello propendessero per la fedeltà all'imperatore, prevalsero il consiglio e l'avvedutezza di Martino e l'inaila Liprandi, fautori di \zzone, che fecero occupare la città da 500 militi, gridando per le strade: < Viva Azzone, viva il biscione! >. I Tedeschi, ch'erano nel castello, tentarono qualche violenza a danno della città; ma poscia dovettero sloggiare. Il Bavaro aveva